Ormai non c’è messaggio, su smartphone, computer o social network, che non sia accompagnato da un simbolino: faccina, cuore, fiore, ecc.
Di “emoji”, cioè le faccine che arricchiscono il testo, ne esistono più di 2mila, tutte registrate all’associazione americana Unicode che, periodicamente, ne approva di nuove (tutti possono proporne!) e le mette a disposizione di chiunque, nel mondo.
Queste piccole icone sono diventate una specie di “linguaggio” internazionale codificato in simboli. «Non le si può (ancora) definire un vero e proprio linguaggio universale», spiega Johanna Monti, professoressa al Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Comparati dell’università L’Orientale di Napoli, «perché ancora oggi i diversi simboli vengono interpretati in modo diverso dalle varie comunità linguistiche. Per esempio, da uno studio condotto con i miei studenti di nazionalità cinese, ho scoperto che per dire “OK” loro usano la faccina della scimmia perché, nella loro lingua, il nome di questo animale ha un suono simile.
Oppure, per dire che sono annoiati, aggiungono ai loro messaggi l’immagine della sigaretta che per noi italiani non esprime questo concetto!».
Ma, al di là dei significati che possono avere nelle diverse parti del mondo, le faccine hanno avuto un tale successo che anche i traduttori si sono messi all’opera: il celebre romanzo “Moby Dick” di Herman Melville è già diventato “Emoji Dick” (ne esiste anche una versione stampata), “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll è stato illustrato in una sequenza di 27mila immagini in formato poster, mentre il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato in simbolini un discorso dell’ex presidente americano Barack Obama.
Anche in Italia ci sono i primi sperimentatori: proprio Johanna Monti, insieme a Francesca Chiusaroli dell’università di Macerata e con l’aiuto degli utenti del blog scritturebrevi.it, hanno tradotto con le "faccine" 15 capitoli del Pinocchio di Collodi: «È stato un lavoro molto complesso, perché abbiamo dovuto stabilire delle regole grammaticali per una forma di comunicazione che, in realtà, non ne ha», continua Monti. «Diciamo che gli emoji, per ora, più che una forma linguistica sono immagini che ci permettono di arricchire una frase scritta: è come se aggiungessimo alle parole gesti o espressioni del viso, in modo da far capire alla persona che riceve il messaggio e non è vicino a noi, qual è il nostro stato d’animo».
Uno studio dell’università dell’Illinois ha POI dimostrato come il cervello si sia già adattato al nuovo linguaggio, riuscendo a cogliere al volo l’ironia “nascosta” nelle faccine. E ci attendono grandi novità: negli smartphone di ultima generazione, per esempio, è possibile animare gli emoji con le nostre espressioni facciali e dar loro la nostra voce, per renderli ancora più “umani”!
Oggi gli emoji sono migliaia ed è l’associazione Unicode che li seleziona e li distribuisce in versioni compatibili con tutti i dispositivi, dai computer agli smartphone e ai tablet.