Che cosa sarebbe successo ad Alice se, invece che nella tana del coniglio, fosse caduta... nel telefonino? Be’, anche attraversando lo schermo del cellulare Alice sarebbe finita in un Paese delle meraviglie! E anche più strano di quello del libro. Dietro lo schermo, infatti, c’è il mondo in cui viviamo oggi: il nostro mondo digitale.
ATTRAVERSO LO SCHERMO
Immaginate di essere alti meno di un millimetro e di poter entrare dentro uno smartphone o un computer: visti da dentro, assomigliano a una città con strade ed “edifici”, in ognuno dei quali succede qualcosa. Sono i centri di controllo dello schermo, della fotocamera, dei sensori che riconoscono il tocco delle dita o che fanno funzionare l’altoparlante e il microfono che usiamo per telefonare.
Il centro di controllo più importante di tutti è un blocchetto nero chiamato microprocessore (o anche “chip”), al cui interno succedono cose pazzesche. In pochi centimetri quadrati di spazio, circuiti elettronici grandi pochi milionesimi di millimetro fanno, in pochi istanti, calcoli che a noi richiederebbero anni (o che non saremmo proprio capaci di fare). Quando in un videogioco sparate un colpo, per esempio, è il che fa i calcoli per vedere se colpirete il nemico o no. E che, nel frattempo, vi permette di spostarvi per schivare i colpi avversari e muove lo sfondo per farvi capire dove siete.
Insomma, quel chip fa un sacco di cose: più è potente più cose fa e più in fretta. Ed è grazie a questo “cervellone”, inventato nel 1971 dall’italiano Federico Faggin, che esistono gli smartphone e i computer che usiamo oggi.
QUESTIONE... DI MEMORIA
Il microprocessore è velocissimo ma, da solo, non sa nulla e non ricorda nulla: ogni volta ha bisogno di leggere le istruzioni di quello che deve fare. Per questo nel telefonino c’è un altro “palazzo”: quello della memoria. Lì vengono conservate le istruzioni (si chiamano “app”) che spiegano al chip come funzionare, sia se volete fare una foto sia per mandare un messaggio con Whatsapp. È una gigantesca libreria che mantiene tutto in ordine e in cui si ritrova (quasi) sempre tutto.
Il microprocessore e la memoria sono collegati da sottilissime “strade” fatte di rame, in cui milioni di dati viaggiano ordinati. Pensate alle migliaia di auto sulle strade: se non ci sono abbastanza corsie e segnali per farle procedere in ordine è il caos e tutto si blocca. Il microprocessore, inoltre, non è solo ignorante e smemorato ma è pure molto distratto. Perciò gli serve un’altra memoria, più piccola, dove scrivere temporaneamente i calcoli che fa e le informazioni che legge nelle app della memoria principale.
Questa memoria si chiama Ram ed è un po’ come la vostra scrivania o il banco a scuola: ospita solo i libri e i quaderni su cui state studiando in quel momento, per averli sottomano.
PROGRAMMATORI...E MOBILI DA MONTARE!
Ora immaginiamo di aprire uno dei libri (le app) che sono custoditi nella memoria e di leggere le istruzioni che contiene. Si può fare davvero! C’è gente che, per lavoro o per hobby, scrive e legge proprio queste pagine di istruzioni. E si diverte.
«Hai presente le istruzioni per montare i mobili in scatola dell’Ikea? Ecco, scrivere app e programmi per i computer è la stessa cosa», ci dice ridendo Stefano Ricci che, con gli amici dell’associazione Coderdojo, spiega anche ai bambini (gratis) come si fa a programmare.
Ma che cosa c’entra l’Ikea? «Semplice», continua Stefano «facciamo come nelle istruzioni dei letti a castello, dove devi spiegare cosa fare a qualcuno che non ne ha idea. Perché il computer è molto obbediente e farà tutto quello che gli dici. Ma è anche stupido e quindi farà solamente quello che gli dici. Se ti dimentichi di dargli un’istruzione non sa come deve continuare e si ferma. Oppure sbaglia». Esattamente come succede ai grandi quando, a casa, devono montare i mobili comperati in scatola di montaggio.
TUFFO NELLA RETE
Se noi esseri umani fossimo microscopici e fatti di bit, ossia come una foto messa su Whatsapp, potremmo entrare ed esplorare il gigantesco mondo di internet. Ma dov’è Internet? Non è nell’apparecchio che porta internet a casa lungo i cavi del telefono (si chiama modem). Non è nelle antenne sparse per la città a cui il vostro smartphone si collega.
Non è neppure nel grande palazzo (questa volta un palazzo vero!) da cui passa tutto il traffico internet della zona in cui abitate e che è uno dei luoghi più affollati che ci siano (affollato di bit, non di persone). Internet non è nemmeno nelle gigantesche sale piene di computer di Google o di Facebook sparse per il mondo. Internet, in realtà, è un po’ in tutti questi posti, in altri ancora e in nessuno in particolare.
Come dice il nome è una rete (net, in inglese) che esiste sotto forma di un’invisibile ragnatela (web, l’altro nome di internet), con tantissimi fili che si collegano gli uni agli altri: anche se un filo si interrompe la rete funziona lo stesso, è questa la sua forza. Ogni cosa che dite o che fate su internet non finisce solo nei telefonini o nel computer degli amici: resta parcheggiata anche in una gigantesca memoria in qualche parte del mondo, ossia in qualche punto della ragnatela.
Ecco perché con internet (e con i social network che la sfruttano) bisogna fare attenzione: riuscire a cancellare qualcosa per sempre è difficilissimo. D’altra parte, questo è anche il bello di internet, che vi dà informazioni infinite, video e musica a volontà, possibilità di restare in contatto con chi volete e quando volete.
«È sempre meglio ricordare che quello che dite o scrivete in internet può esser visto da chiunque. Non solo da vostra madre, vostra sorella o dai prof. ma anche da perfetti sconosciuti!» avverte Barbara Laura Alaimo, che insegna agli esperti di Coderdojo a parlare con i ragazzi. Il web è bellissimo, non si deve temerlo ma saperlo usare perché i pericoli esistono e vanno conosciuti. «Bisogna rispettarne le regole», continua Barbara. «Se, per esempio, i social network sono vietati sotto una certa età c’è una ragione e non bisogna iscriversi». Il pericolo più grande, però, è guardare internet da fuori anziché imparare a usarlo e a conoscerlo. Perché nel mare digitale del web bisogna nuotare per forza e, dunque, è meglio imparare a farlo bene.
I COMPUTER QUANTICI. DAL BIT AL QBIT.
Negli ultimi dieci anni abbiamo raddoppiato la potenza dei microchip rendendoli, nello stesso tempo, sempre più piccoli. Ora, però, ci avviciniamo ai limiti di questa tecnologia. Per questo gli scienziati stanno studiando nuovi tipi di computer, ispirati alle leggi della fisica quantistica, che elaborano i dati in maniera diversa rispetto a quelli tradizionali e, invece di memorizzare le informazioni sotto forma di bit, sfruttano i qbit, cioè i bit quantistici. Risultato? Potrebbero andare anche centinaia di milioni di volte più veloci dei computer tradizionali.
BIT, BYTE E MEGABYTE: DA DIECI A DUE
Noi esseri umani contiamo con il sistema decimale (a base 10). I computer usano invece un sistema digitale (dall’inglese digit, cifra) a base 2, cioè “binario”, perché per loro è più facile. L’unità di misura del sistema binario è il bit, che può avere il valore zero oppure uno e, meraviglia del digitale, va bene per i numeri e anche per le lettere: la sequenza 01101101, per esempio, è la lettera “m” scritta dal computer.
Otto bit in fila formano un byte e con tanti byte si può rappresentare ogni cosa, anche la voce o una foto: basta dividerla in puntini piccolissimi, i pixel, ognuno dei quali contiene le indicazioni di colore, luminosità, posizione ecc. sotto forma di sequenze di byte.