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Kintsugi: l’arte di impreziosire le crepe

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Se sbadatamente rompiamo il vaso preferito della mamma o un piatto del servizio di ceramica della nonna che cosa possiamo fare? Per la maggior parte di noi il primo impulso sarebbe quello di gettarlo ma per i giapponesi no!

In Giappone si sono inventati una tecnica per riparare al danno e non solo… vogliono valorizzare la rottura. Questa antica tecnica si chiama Kintsugi (金継ぎ), si pronuncia Chinzughi e letteralmente significa “riparare/ricomporre con oro”. Invece che gettar via i cocci, attraverso questa pratica, si valorizzano le rotture e metaforicamente le fragilità dell’anima.

IN COSA CONSISTE L’ARTE DEL KINTSUGI?

Con un particolare composto di colla e polvere di metalli preziosi come l’oro o l’argento, le fratture danno una nuova vita a qualcosa che sembrerebbe inutilizzabile. Anziché gettar via e dimenticare, si ricompone e si valorizzano le “ferite”, dando valore con l’oro alle crepe in maniera visibile anziché nasconderle o mascherarle. In questo modo la ceramica assume una nuova bellezza, ricca di ramificazioni splendenti che creano unicità e storia all’oggetto in questione. Può servire molto tempo e una certa calma per far rivivere qualcosa, ma certamente il risultato sarà una vittoria.

Kintsugi
Kintsugi
Credits: Shutterstock

 

QUALE ORIGINE HA LA TECNICA DEL KINTSUGI?

Siamo in Giappone nel XV secolo, quando Ashikaga Yoshimasa, l’ottavo shogun (dittatore militare) della regione di Ashikaga, ruppe la sua tazza preferita e la mandò a riparare, essendo egli un cultore del tè. Infatti durante il suo governo si sviluppò anche il movimento Higashima bunka, che diede origine alla cerimonia del tè. Torniamo alla tazza… dobbiamo ricordare che a quel tempo – ma già da centinaia di anni prima dell’anno 0 - si praticavano rudimentali tecniche di riparazione degli oggetti rotti e si ricostruivano tramite l’uso di graffette e legature di metallo che, seppur funzionale, risultava del tutto poco estetica e non sempre funzionale. Quando la famosa tazza tornò tra le mani di Ashikaga Yoshimasa, lo shogun non fu per niente soddisfatto e la mandò nuovamente a far restaurare da alcuni artigiani giapponesi, i quali ricomposero la ceramica pezzo per pezzo grazie alla lacca Urish, una resina della pianta Rhus arricchita con polvere d’oro. Da qui l’arte dello Kintsugi, che, invece di deturpare i cocci con fili di metallo, ne esalta la riparazione con i metalli preziosi.

NON ESISTE UNA SOLA TECNICA…

  • Possiamo raggruppare in tre principali gruppi le tecniche per “aggiustare” il vasellame e renderlo prezioso:
    - Hibi ( ひび) significa “crepa”, è il modo in cui si riparano semplicemente le rotture.
    - Kake no Kintsugi Rei ( 欠けの金継ぎ例), ovvero “esempio di riparazione dorata del pezzo mancante”, in cui si crea interamente su misura la parte del pezzo mancante in lacca e oro.
    - Yobitsugi ( 呼び継ぎ) si può tradurre letteralmente con “invito ad unirsi”, infatti in questa tecnica si utilizza, nella parte mancante, un pezzo proveniente da un’altra porcellana molto simile ma comunque non quella originale.

LA “FILOSOFIA DELLA RIPARAZIONE”

In Oriente molte azioni vengono spesso compiute con una valenza maggiore della semplice utilità pratica. Così anche per il Kintsugi, il potere della riparazione ha benefici terapeutici sia per gli artigiani che la compiono, sia a chi assiste al processo, sia a chi riceve l’oggetto riparato. Questa pratica è associata alla resilienza, ovvero alla capacità di rialzarsi dopo un brutto colpo, migliori di prima. Trasferendo nella ceramica artigianale - prendiamo ad esempio la tazza di tè - un possibile evento negativo della nostra vita, la tazza prende una valenza simbolica. Noi non siamo fermi mai: ci muoviamo, viviamo, amiamo, odiamo, soffriamo, andiamo in frantumi e ci riassestiamo. Con calma e pazienza, perché ogni cambiamento ha bisogno del suo tempo, possiamo cambiare in meglio. Una volta aggiustata la tazza e dato valore alla rottura, sarà come se fossimo riusciti a mettere a posto la sofferenza patita, perché a quel punto sarà già passata.

UNA PRATICA CHE SERVE ANCHE ALLO SPIRITO

Le ferite in cui ognuno può imbattersi possono essere di natura fisica, come una caduta dalla bici, o di natura emotiva (e per ognuno sarà diverso a seconda della sua sensibilità). Talvolta queste cicatrici, più o meno profonde, ci accompagnano per tutta la vita. Magari tra vent’anni riderete del furbetto che vi prendeva in giro perché non correvate veloci quanto lui, perché nel frattempo vi sarete allenati nella corsa e avrete indossato un’armatura solida e leggera per proteggervi dalla cattiveria altrui.
Quello che il Kintsugi insegna è dare importanza alla nostra unicità, alle nostre imperfezioni, a non nascondere le ferite ma farne una prova evidente della nostra abilità di riuscire da un trauma. Tutto sta a noi e a come riusciamo ad accettare i problemi della vita, da quello enorme al minuscolo, con l’opportunità di crescere. Questa è l’arte giapponese dell’accettare il danno: non potendo cancellare ciò che è stato, piangere e disperarsi non riporterà “la nostra tazza” a quello che era prima. Se però raccoglieremo i cocci e ci impegneremo a ripararla, il risultato sarà qualcosa (o qualcuno!) di singolare e prezioso.