Il tatuaggio oggi è di moda e coinvolge tutti: uomini e donne, ragazzi e adulti, personaggi famosi e anonimi impiegati in giacca e cravatta che, sotto la camicia, nascondono un enorme dragone. In realtà, però, è un fenomeno tutt’altro che recente. Anzi, si tratta di una delle forme più antiche di creatività, inventata per comunicare agli altri qualcosa di se stessi.
LIBERO O IMPOSTO?
Nelle società tribali, dove spesso era obbligatorio, il tatuaggio serviva per esprimere le cose più diverse: il passaggio all’età adulta, il proprio rango sociale, l’appartenenza a un clan specifico (guerrieri, sacerdoti...), il dolore per la perdita di una persona cara... In alcune culture era usato anche come strumento magico, per tenere lontano gli spiriti maligni, o come “medicina” per curare alcuni malanni.
Oggi, invece, il tatuaggio è una libera scelta e il suo significato lo decide chi se lo fa: per ricordare un avvenimento importante, per motivi estetici (nascondere o esaltare una parte del proprio corpo), per amore...
E non è nemmeno più, come negli anni ’70 del secolo scorso, una forma di ribellione con il quale esprimere la libertà sul proprio corpo o la propria appartenenza a una “tribù metropolitana” non sempre vista di buon occhio dal resto della società.
RE E GALEOTTI
In molte parti del mondo, fin dall’antichità, i tatuaggi sono serviti anche per marchiare alcuni tipi di persone considerate pericolose o comunque ai margini della società: schiavi, criminali o, come durante il nazismo, gli ebrei nei campi di concentramento, ai quali fu tatuato sul braccio un numero di riconoscimento.
Nelle prigioni russe, invece, i tatuaggi rappresentano una specie di linguaggio segreto, in cui a ogni simbolo corrisponde un reato: un gatto indica un borseggiatore, un jolly una persona dedita al gioco... Per questi motivi, in passato (ma a volte ancora adesso), il tatuaggio era considerato qualcosa di “trasgressivo” e contro le regole. Anche se, poi, in segreto magari si tatuavano anche i re, come testimonia il lavoro di George Burchett: nato nel 1872, nel suo studio di Londra sono finiti Alfonso XIII di Spagna, Federico IX di Danimarca e Giorgio V d’Inghilterra.
TATAU
Lunghe bacchette di ottone o legno con punte aguzze, lame affilate per tagliare la pelle e inserire poi il
colore, pettini con estremità appuntite, denti di squalo attaccati a un bastone, spine di vite selvatica fissate a un rametto... ogni popolo ha escogitato il proprio sistema per tatuarsi. Del resto proprio il termine tatuaggio deriva da tatau (trasformatosi nell’inglese tattoo), una parola polinesiana il cui suono ricordava il rumore dello strumento usato per incidere la pelle.
Niente a che vedere con il ronzio delle moderne macchinette: velocissime e tutto sommato non eccessivamente dolorose (dipende dalle zone del corpo), nelle mani di un bravo tatuatore riescono ormai a creare ogni tipo di disegno, da quelli tribali che si ispirano a popoli lontani a vere e proprie illusioni ottiche ai coloratissimi disegni ispirati alla tradizione giapponese.
DI TUTTI I TIPI
Se non bastasse, è ormai possibile farsi anche tatuaggi “invisibili” che, grazie a uno speciale inchiostro, appaiono solo se illuminati dalla luce di Wood (hai presente quelle lampade violette che fanno apparire tutto fluorescente?). E c’è anche chi li usa al posto del rossetto o del mascara, per dipingere sopracciglia e labbra con una sorta di trucco permanente (tatuaggio cosmetico).
Al contrario, per chi vuole solo divertirsi un po’ a disegnare sul proprio corpo senza modificarlo per sempre, esistono quelli temporanei: dai classici trasferelli ai manicotti da infilare sulle braccia alle tatùmelle (Tung Toos), caramelle che lasciano una scritta o un disegno sulla lingua.