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Chi era Paolo Borsellino?

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Conosciamo meglio il giudice e magistrato Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992 da quella mafia che stava contribuendo a sconfiggere

Chi ha conosciuto bene Paolo Borsellino lo descrive sempre con il sorriso. Il magistrato ucciso da Cosa Nostra il 19 luglio 1992 a Palermo in via D’Amelio, è stato prima di tutto un figlio premuroso, un papà affettuoso, uno zio scherzoso, un amante del mare e del ciclismo ma soprattutto un uomo che ha dedicato la sua vita al lavoro fino alla morte.

Oggi, a 29 anni dalla strage che oltre a Borsellino ha ammazzato i suoi agenti della scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina, l’Italia intera, compresi i ragazzi che hanno conosciuto il magistrato solo attraverso il racconto di altri o la lettura di qualche libro, si ferma ancora una volta per fare memoria. Come ogni anno a Palermo il ricordo avverrà proprio davanti all’appartamento della mamma e della sorella di Paolo Borsellino, dove al posto del cratere causato dal tritolo, c’è un albero d’ulivo con appesi decine e decine di messaggi di pace e di giustizia.

Nel quartiere di Paolo Borsellino

Ma per capire chi è stato Paolo Borsellino, bisogna andare alla Kalsa, al quartiere dove è nato e dove ha conosciuto, da bambino, l’amico Giovanni Falcone, ammazzato il 23 maggio 1992 sempre per mano della criminalità organizzata.

In via Vetriera, a pochi passi da uno dei più bei monumenti della città di Palermo, la Chiesa dello Spasimo, in fondo alla strada c’è ancora la casa della famiglia Borsellino. Al piano terra c’era la farmacia che suo padre aveva aperto nel quartiere mentre al secondo piano abitava Paolo con il fratello Salvatore, le sorelle Adele e Rita, la più piccola, nata il 2 giugno del 1945 e chiamata dal fratello magistrato “la Repubblichina” in onore della festa della Repubblica.

Paolo amava stare sui libri ma anche dare una mano a chi non ce la faceva: alla scuola elementare la casa dei Borsellino, il pomeriggio, si riempiva di ragazzini ai quali lui dava una mano a fare i compiti. Dopo aver frequentato le scuole dell'obbligo si iscrisse al liceo classico "Giovanni Meli" di Palermo. Durante quegli anni diventò direttore del giornale studentesco "Agorà". A 22 anni si laureò in Legge.

Una vita sotto protezione

Presto la sua vita si trasformò. Dopo essersi sposato con Agnese ebbe tre figli: Lucia, la più grande; Manfredi che oggi è un poliziotto e Fiammetta. A cambiare l’esistenza sua e della famiglia fu l’uccisione del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile con il quale il magistrato stava svolgendo delle indagini.

Da quel giorno, il 3 maggio del 1980, anche a Paolo Borsellino viene affidata la scorta. Da quel momento non è più libero di andare a fare una passeggiata con i figli, di andare al cinema o semplicemente se deve accompagnare a scuola i suoi bambini lo deve fare con gli agenti di Polizia che lo proteggono.

Nell'ufficio del giudice Paolo Borsellino

Oggi, per capire il lavoro di Borsellino, bisogna farsi prendere per mano da un uomo che ha lavorato con lui e con il giudice Falcone: Giovanni Paparcuri, scampato all’attentato al giudice Rocco Chinnici, il 29 luglio del 1983. Grazie a lui è ancora possibile entrare nell’ufficio di Paolo Borsellino, a Palazzo di Giustizia.

Nella sua stanza ciò che colpisce appena entri è quella copia del Bacio di Gustav Klimt, appesa dietro la sua poltrona. Una delle sue agende di pelle marrone sulle quali teneva gli appunti è ancora lì sul tavolo, così come una delle borse dove teneva anche la pistola, perché Borsellino girava armato.
C’è anche una copia della tesi di laurea di Borsellino e il suo tocco (il copricapo) quello indossato al funerale del suo collega, amico e fratello Giovanni. Vengono i brividi solo a guardarlo. È lì che i due magistrati hanno svolto le indagini che hanno portato al maxi processo, al processo più grande della storia della mafia che ha condannato 346 mafiosi. Per la prima volta la mafia perdeva la battaglia e per la prima volta si scoprirono molte cose sulla mafia.

Nel 1991 la mafia decide di uccidere il giudice Borsellino. A dover compiere l’attentato con un fucile di precisione è Vincenzo Calcara, mafioso di Castelvetrano. Fortunatamente Calcara fu arrestato prima della presunta data dell’esecuzione. Per Borsellino, quell’uomo diventò molto di più di un collaboratore di giustizia.

Una volta rivelatogli il piano e l'incarico, il boss disse: «Lei deve sapere che io ero ben felice di ammazzarla». Dopo di ciò, raccontò sempre il pentito, gli chiese di poterlo abbracciare e Borsellino avrebbe commentato: «Nella mia vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d'onore mi abbracciasse».

Ma il 19 luglio 1992 accade quello che anche lui s’aspettava.

La strage di Via d'Amelio

È domenica. Paolo Borsellino quella mattina alle cinque riceve una chiamata: è la figlia Fiammetta dalla Thailandia. Alle sette riceve un’altra telefonata che sveglia anche l’altra figlia. Poi decide di andare al mare. Paolo pranza a casa di vecchi amici di famiglia e parlando si confida senza farsi sentire da Agnese: «È arrivato il tritolo per me».

Alle 16,30 parte e va dalla mamma. Mette nella sua borsa di pelle le carte, il pacchetto di sigarette, il costume e l’agenda rossa. Eccolo in via D’Amelio dove andava sempre a trovare la mamma e la sorella Rita.
La Fiat Croma attraversa la strada tra le auto parcheggiate a spina di pesce. C’è anche una fila al centro. Arrivati in fondo, dal momento che la via è chiusa, le auto fanno un’inversione. Percorrono qualche metro, e arrivarono esattamente dove oggi c’è un albero d’ulivo che la mamma di Paolo ha voluto al posto del cratere.

Quando il giudice suona al citofono sono le 16,58 e venti secondi. Non fa in tempo a dire: «Paolo sono». È l’inferno.

La Fiat 126 rossa parcheggiata da due giorni davanti alla ringhiera, imbottita di 90 chilogrammi di tritolo e pentrite, scoppia. Paolo, Emanuela Loi, Walter Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano, il capo scorta, muoiono.

In pochi minuti arrivano ambulanze, vigili del fuoco, forze dell’ordine. Regna la confusione; la polvere rende tutto più grigio, più opaco, al punto che qualcuno, ancora non sappiamo chi, prende quell’agenda rossa dove Paolo era solito appuntare riflessioni sui suoi colloqui investigativi e la fa sparire. Chi ha visto il giudice Paolo morto dice che se ne sia andato sereno, sorridendo.

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