Nella piana erbosa di Salisbury, nel Sud dell’Inghilterra, si innalzano i resti di un gigantesco circolo di blocchi di pietra, antichissimo e ancora in parte misterioso, chiamato Stonehenge. Di certo doveva essere qualcosa di molto importante per le persone che 4.500 anni fa vivevano qui, perché la sua costruzione fu un lavoro lungo e faticoso. I blocchi più grandi arrivano a pesare come cinque elefanti: pensa quant’era difficile spostarli!
Prima di tutto dovettero cercare il tipo di pietra più adatta allo scopo: dura e resistente. La trovarono nelle colline a una trentina di chilometri da qui. Per cavarla, infilavano nelle fessure della roccia dei cunei di legno, che una volta bagnati si ingrossavano e provocavano il distacco del blocco. «Il trasporto fino alla piana di Salisbury avveniva utilizzando grosse slitte di legno trainate da squadre di centinaia di uomini» spiega Giulio Magli, professore di archeoastronomia al Politecnico di Milano.
Una volta giunti là, dopo settimane e settimane di sforzi, mica era finita: i megaliti (dal greco mégas, “grande”, e lítos, “pietra”) andavano alzati in verticale! Per farlo, gli antichi costruttori ebbero la geniale idea di sfruttare il peso stesso dei blocchi. «Prima scavavano una buca, poi realizzavano una rampa su cui trascinavano il blocco, facendolo sporgere sulla buca finché non ci cadeva dentro». A quel punto, con delle robuste funi, completavano il lavoro prima di smantellare la rampa e colmare la buca con sassi e terra. «Detto così sembra facile» aggiunge Magli «in realtà era un’operazione complicata e pericolosa, che richiedeva grande organizzazione».
«Stonehenge era un luogo di culto dove celebrare gli antenati» risponde Magli. Per questo i megaliti non furono disposti a caso, ma secondo un orientamento astronomico ben preciso. «L’asse del cerchio di pietre è allineato ai punti in cui il sole sorge nel giorno più lungo dell’anno, detto solstizio d’estate, e tramonta in quello più corto, il solstizio d’inverno».
In epoca moderna il sito è preso d’assalto dai visitatori soprattutto in occasione del solstizio d’estate, quando il sole è al suo massimo, ma per chi lo edificò era probabilmente più importante il solstizio d’inverno. In tempi in cui la stagione invernale coincideva con scarsità di cibo ed elevata mortalità, il momento astronomico che segnava la fine dell’accorciarsi delle giornate e il graduale ritorno alla luce e alla vita era una ricorrenza da festeggiare e, per l’occasione, arrivavano a Stonehenge genti da tutta la Britannia. Immagina la scena: i sacerdoti celebravano i loro riti, gli adulti allestivano grandi banchetti, i musicisti suonavano flauti e tamburi mentre, tutto intorno, i bambini correvano eccitati!
Se oggi conosciamo la storia di Stonehenge e di chi l’ha eretto, è grazie al paziente lavoro degli archeologi. Ma anche se molte domande hanno avuto risposta, l’imponenza di quelle pietre silenziose continua ad affascinarci.
NOTA: Per scrivere questo articolo sono stato in biblioteca, ho consultato le pagine dedicate a Stonehenge sul sito dell’English Heritage (l’ente che gestisce i principali siti storici e archeologici inglesi) e ho interpellato un super esperto in materia, Giulio Magli, che sull’archeoastronomia ha appena scritto anche un libro: La scienza delle stelle e delle pietre (Mondadori).