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Racconti storici: l’elefante di Carlo Magno

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Il grande Re dei Franchi e fondatore del Sacro Romano Impero aveva un fornitissimo serraglio zeppo di belve e animali esotici, ma il suo preferito era un elefante che entrò nel mito!

“Prendiamo un cane?”. Non appena mamma e papà sentono rivolgersi questa domanda non rispondono subito. Avere un cane, un gatto, o un canarino richiede attenzione e cura. È come avere un fratellino nuovo che – a parte le dimensioni – non crescerà mai e se curato bene, potrà dare tanto, ma tanto affetto. Eppure, nel passato, avere un cagnolino non era abbastanza. Re Carlo Magno, per esempio, voleva di più.

UN VERO COLLEZIONISTA DI RARITÀ

Prima di quella notte di Natale dell’800 d. C. che lo vide diventare Imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo Magno possedeva già un serraglio ben nutrito di animali.

Lo storico francese Michel Pastoureau riferisce che ad Aix-la-Chapelle, meglio nota come Aquisgrana, vicino al suo palazzo, il sovrano possedeva già dei grossi felini, come ad esempio le pantere. Anzi, si racconta che il vero orgoglio del re fosse un “leone di Marmorica”, di taglia colossale. Molti cronisti dell’epoca confermano che l’animale fosse stato un dono di un re dell’Africa, ma gli storici moderni hanno molte difficoltà a capire chi sia stato e dove regnasse. Eppure, a re Carlo Magno non bastava!

Avere un animale domestico, ai suoi tempi, non significava semplicemente avere un cucciolo. Era un’ostentazione della propria potenza. Facendo un paragone con i nostri giorni, avere una tigre nel proprio palazzo era l’equivalente di possedere una squadra di calcio o l’ultimo modello di smartphone. Nel Medioevo ogni re aveva un serraglio, altrimenti valeva meno di zero.

UN SIMBOLO DI POTERE

Alla vigilia della sua incoronazione a Imperatore, Carlo Magno aveva bisogno di un nuovo animale, che fosse simbolo della sua forza. Cosa cercare? Pantere, cinghiali e orsi li aveva già e comunque si addicevano a un re, non a un Imperatore. La sua incoronazione avrebbe rappresentato una svolta nella storia, perciò bisognava trovare qualcosa che stupisse i sudditi in modo eclatante. L’idea non tardò ad arrivare.

Bisognava mostrare un animale che in Occidente non si vedeva mai: un elefante. I pachidermi fino ad allora erano stati intesi nell’immaginario collettivo come le macchine da guerra che avevano condotto i nemici dell’Antica Roma fino al cuore della città. Annibale, generale di Cartagine, ne aveva fatto il fiore all’occhiello del suo esercito.

Non bisogna stupirsi allora di quanta paura e ammirazione suscitasse l’animale all’epoca.

L'ELEFANTE DI CARLO MAGNO

Così nel 797, Carlo Magno inviò un’ambasciata al sovrano di Bagdad, Harun al-Rashid, conosciuto dai più come Harun il Giusto, figura centrale nella raccolta di racconti de Le mille e una notte. Si narra che il sovrano fu ben felice di accontentare il futuro Imperatore d’Occidente, così si premurò di inviargli non uno, ma ben due elefanti. Purtroppo, il primo morì durante il viaggio, mentre il secondo, il più imponente, raggiunse le terre occidentali, sbarcando a Pisa nell’801.

Carlo Magno ebbe modo di conoscere il suo pachiderma lo stesso anno e lo condusse a Pavia. L’animale sfoggiava il nome altisonante di Abul-Abbas. Elefante e padrone non viaggiarono a lungo insieme, perché per facilitare il viaggio, il pachiderma fu caricato su una nave, in un porto dell’odierna Liguria, per raggiungere Marsiglia via mare. Risalendo la valle del Rodano, accompagnato da un lungo corteo, Abul-Abbas raggiunse Aquisgrana nell’802.

L’animale fece subito colpo sugli abitanti, che da ogni regione si mettevano in viaggio per ammirarlo.

Sempre Michel Pastoureau riferisce che nel Medioevo si pensava che gli elefanti fossero simili alle montagne, più intelligenti di un cavallo e misericordiosi nei confronti dei deboli. Abul-Abbas era una vera superstar, al punto da avere un posto d’onore nel serraglio dell’Imperatore.

Carlo Magno chiese che il suo “zoo privato”, diventasse itinerante, viaggiando insieme al suo padrone. Una richiesta che causò non pochi problemi al personale dell’Imperatore, perché già era stato difficile spostare l’elefante, figuriamoci un intero zoo.

Abul-Abbas seguì il suo padrone in diverse battute di caccia, di cui l’Imperatore era un grande appassionato, nonché in due spedizioni verso la Germania. Si racconta che l’elefante morì durante la seconda spedizione, nell’810.

LA LEGGENDA

Dalla morte del pachiderma è nata anche una leggenda.

Il mito racconta che, per la grande tristezza, l’Imperatore ordinò di costruire attraverso una delle zanne dell’elefante un enorme corno da caccia, chiamato olifante. L’oggetto avrebbe fatto parte del tesoro dell’Imperatore.

Gli archeologi hanno cercato per lungo tempo l’olifante di Carlo Magno, ma invano.

Perché è così difficile da trovare?

Ci sono troppi corni pervenutici dall’Alto Medioevo e molti di questi sono stati spacciati per l’olifante dell’Imperatore da secoli. Sarà stata una leggenda, ma grazie a questa sappiamo della straordinaria amicizia tra Carlo Magno e il suo elefante.

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