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Miti greci: chi era il bellissimo Adone?

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Miti greci: chi era il bellissimo Adone?
Sepia Times/Universal Images Group via Getty Images

Spesso per fare un complimento un po' ironico si dice: "sei proprio un Adone". Sì, ma chi era Adone?

“Sei proprio un Adone!”, dicono a qualche vostro amico che si dà tante arie e fa il bell’imbusto, risultando anche un po’ ridicolo. “Essere un Adone”, in realtà, significa essere un giovane molto bello nel volto e nelle fattezze, ma le frasi quotidiane che si usano citando, appunto, Adone, sono sempre ironiche.

“Non è certo un Adone”, si dice ad esempio di chi non è propio esteticamente gradevole, insomma di chi non è bello. Ma chi era questo Adone? Adone, un fanciullo bellissimo

Il mito di Adone  (che, lo ricordiamo ai focusini: si pronuncia con l’accento sulla "o") ha diverse versioni. Una di queste narra che la dea Afrodite aveva nascosto in una cassa un bambino bellissimo, di nome Adone, nato dall’amore fra Mirra (o Smirna) e il proprio padre Cinira, primo re di Cipro e fondatore del culto di Afrodite. Afrodite lo aveva però affidato a Persefone, regina degli inferi. Colpita dalla bellezza del bambino, Persefone non voleva più renderglielo. Zeus intervenne e sentenziò che il bambino dovesse vivere per metà dell’anno con Persefone e per l’altra metà con Afrodite. Un giorno un orso (o forse un cinghiale) lo uccise. Dal sangue del bambino sbocciò un’anemone, che vive pochissimo.

Il senso di questo mito? Semplice: che la bellezza fisica è un vanto per chi la possiede e un piacere per chi la vede, ma dura poco e svanisce, ed ha poca importanza rispetto a tante altre cose più profonde.

Adone e la punizione di Ares

Un’altra versione, forse la più nota, narra che Persefone e Afrodite, invaghite della bellezza del giovane Adone, se lo contesero finché Zeus non decise che sarebbe dovuto restare per un terzo dell’anno con l’una, per un terzo con l’altra e per un terzo da solo. Il terzo dell’anno che avrebbe dovuto trascorrere da solo, Adone preferì invece passarlo con Afrodite. Il dio Ares lo punì muovendogli contro un cinghiale, che lo uccise.

Il mito di Adone raccontato da Ovidio

Il mito di Adone è narrato anche dal grande scrittore e poeta latino Ovidio (Publio Ovidio Nasone è il nome completo), originario della città abruzzese di Sulmona, dov’era nato nel 43 a.C.

Nel libro X delle Metamorfosi, la sua opera più conosciuta, Ovidio racconta il mito di Venere (la Afrodite romana), dea dell’amore, e Adone. Ed è questo che stiamo per raccontarvi. Adone era nato dall’amore di Mirra per il proprio padre Cinira, re di Cipro, al quale si era unita attraverso un sotterfugio. Scoperto l’inganno, il re Cinira le diede la caccia. Ma gli dei decisero di salvarla trasformandola in un albero, dalla cui corteccia nacque Adone. Il fanciullo fu allevato dalle naiadi, delle ninfe protettrici delle acque dolci. Crebbe bellissimo, così tanto che Venere, colpita dalla freccia di Cupido, se ne innamorò. Adone amava la caccia, ma a Venere ciò non piaceva.

Un giorno, in una battuta di caccia, fu ucciso da un cinghiale. Alla sua morte, Venere promise che il ricordo del lutto sarebbe stato eterno e che il sangue di Adone si sarebbe trasformato in un fiore, esattamente in un’anemone (da un sostantivo greco che significa “vento”), nato tra le lacrime della stessa Venere. Tale fiore è di rara bellezza e vive pochissimo.

Le “Adonie” in Grecia e poi in Egitto e nel Mediterraneo

Ad Atene, anticamente, si celebravano le “Adonie”, delle feste per amanti e cortigiane in onore di Adone. In esse si celebrava soprattutto un fiore: l’anemone. In realtà, si preparavano i cosiddetti “giardini di Adone”, che non prevedevano soltanto l’anemone, ma molte piante in cestini o recipienti di terra. Tali “vasetti” venivano collocati sulle terrazze e le piante fatte crescere sotto il sole estivo. Ma queste non facevano in tempo a germogliare che il sole le seccava subito: l’effimero della bellezza di Adone.

Questa festa, che diventò celebrazione della seduzione fine a se stessa, senza amore, fu molto importante, e all’interno delle “Adonie” erano le donne ad invitare gli uomini, a sedurli. Questo culto si diffuse un po’ in tutto il Mediterraneo e persino ad Alessandria d’Egitto, città in cui, nel III sec. a.C., le Adonie diventarono uno spettacolo bellissimo in due parti: il primo giorno si rappresentava l’unione di due amanti sdraiati sotto un pergolato, circondati da piante e frutti; il giorno successivo si sviluppava una processione funebre in cui le donne si recavano sulla spiaggia con in mano delle statuette di Adone, che gettavano in mare insieme alle piante dei giardini. Un po’ di tempo dopo, la festa ad Alessandria d’Egitto si arricchì di un terzo atto: Afrodite risaliva dagli inferi annunciando di aver ritrovato Adone. E allora tutti si mettevano a cantare e a danzare.

Nel V sec. d.C. le “Adonie”, e in particolare “i giardini di Adone”, divennero il simbolo degli amanti felici, con preparazione di dolci prelibati e statuette di Adone a troneggiare. Ma il personaggio greco, anzi fenicio (in origine), era in realtà un dio babilonese e sirio, di nome Tammuz, che i fedeli chiamavano Adon, ovvero “Signore”. Tammuz doveva vivere per sei mesi all’anno negli inferi, terminati i quali risaliva in superficie, dopo che ne era stata abbondantemente pianta la morte, per rivedere la luce e ricongiungersi con la dea Ishtar, che era un po’ l’Afrodite greca. In tutto il Medio Oriente Tammuz diventò il dio della morte e della resurrezione.

Fonti:

  • A. Cattabiani, Calendario
  • Ovidio, Metamorfosi
  • J.G. Frazer, Il ramo d’oro
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