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I re bambini della storia: quando i più piccoli diventavano sovrani

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Per lungo tempo in Europa sono esistite monarchie rette da bambini. Alla morte improvvisa del Re, la corona passava automaticamente ai primogeniti, anche lattanti. Ecco come e perché.

È proprio così, molte monarchie, in Europa, furono rette da bambini - fu un evento eccezionale - a cui assistettero Re, Principi e nobili vari... un vagito, e oplà, sei giorni dopo aveva la Corona.

È successo a Maria Stuarda (1542-1587) Regina di Scozia poppante per l’improvvisa morta del padre, Re Giacomo V, e a quattro anni già fidanzata. E non è stato un caso unico: il piccolo Enrico VI (1421-1471) divenne re d’Inghilterra a nove mesi, Carlo IX (1550-1574) fu incoronato re a Orleans a 10 anni, ma anche le monarchie dei futuri Luigi XIII e Luigi XIV (“il Re Sole”) proclamati Re di Francia, rispettivamente, a otto e cinque anni.

Lussi da primogenito

Oggi sembra incredibile, ma per molti secoli in Europa sono esistite monarchie rette da bambini. «Dall’ascesa al potere di Ugo Capeto, nel 987, e, quindi, la nascita della dinastia capetingia, che regnò in Francia per 800 anni, si è andato affermando il principio della “successione ereditaria”. E, cioè, alla morte del Re lo scettro delle monarchie passava automaticamente nelle mani dei primogeniti, anche lattanti» ha spiegato Maria Teresa Guerra Medici, insegnante di storia del diritto all’Università La Sapienza. Una soluzione poco equa per gli altri fratelli, che però aveva il vantaggio di fare mantenere alla dinastia il controllo della Corona.

Come faceva a regnare un bambino?

Grazie alla Reggenza. «Questo tipo di monarchie sono state una forma di governo praticate per secoli e consistevano nell’affidare l’esercizio della sovranità al parente più vicino alla linea di successione al trono o indicato da un testamento; principalmente la madre del Baby Re (è il caso di Ottone II di Sassonia e Valentiniano II, Re a soli tre e quattro anni) o la nonna, la sorella, lo zio». La Reggenza terminava con lo scoccare della maggiore età, che, all’epoca, si aggirava intorno ai 14 anni: per le femmine coincideva con la capacità di avere figli, per i maschi quella di indossare armi pesanti.

Crescere da re

Ma che vita facevano, in quel lasso di tempo, quei piccoli Re? Certo, non quella beata e tranquilla che tutti pensano. Se la loro infanzia era piena di lussi e privilegi, accadeva spesso di trovarsi al centro di intrighi di Corte. Di scuola, ovviamente, non se ne parlava: i piccoli re avevano maestri e precettori privati.

L’educazione alla corona prevedeva lezioni di scherma, equitazione, caccia e danza, ma soprattutto calligrafia, matematica, storia e letteratura. A cui aggiungere, ovviamente, lezioni di rituali di Corte. Per rendere l’idea, il piccolo Luigi XIII, primo Delfino dei Borbone che aveva 225 persone al proprio servizio, a un anno impara a tendere il braccio ai visitatori per ricevere il baciamano, a due a mantenersi immobile durante le “entrate” in città e dire piccole frasi di cortesia, a tre anni a ricevere principi e ambasciatori degli altri paesi nel Castello di Saint- Germain-En Laye, a quattro a benedire i malati. Essendo così viziato, ovviamente, i capricci non mancavano.

Capricci reali

La prova illuminante è scritta nell’eccezionale diario del medico personale del Delfino Luigi, Jean Héroard, che per anni ha annotato in modo certosino ogni suo minuto di vita dalla nascita («emette grida forti e potenti che non sembravano vagiti di un bambino» scrisse) alla maggiore età. Grazie a lui conosciamo tutti i menù di 16.000 pranzi e cene, le rare volte che si lavava (la prima volta a sette anni, il 2 agosto 1608) secondo le regole antigieniche dell’epoca, persino il colore della sua cacca (“fa la cacca nel catino, gialla, molto chiara, molta”).

Ma la parte più divertente è il racconto degli attacchi di gelosia verso i fratelli, e i gesti di disubbidienza, come quando non voleva farsi pettinare e si rifiutava di lavare i piedi ai poveri ("non voglio, non voglio! Hanno i piedi puzzolenti»). Per punirlo si provava di tutto: a fargli prendere spaventi improvvisi (“Per fargli paura entri il gobbo addetto alle stoviglie di corte» annota il diario) a minacciarlo di togliergli la corona (“si decide di infilare il suo abito al collo del paggio”) fino a maniere ancora più forti: «Voglio che lo frustiate –scrisse il re padre alla sua balia- e vi comando di farlo tutte le volte che s’intestardirà o farà qualcosa di male, ben sapendo che nulla al mondo gli gioverà di più».

Giochi reali: soldatini e pallamaglio

Con che cosa giocavano i re bambini? Alla corte di Francia i futuri re giocavano con 300 soldatini d’argento, decine di bambole e macchine semoventi realizzate esclusivamente per loro: il futuro Re Sole andava matto per una carrozza che si muoveva da sola, con dama, paggetto, valletto e cavalli.

Sul fronte dello sport, invece, per molti secoli, presso le corti italiane e francesi, impazzò la “pallamaglio”, antenato del cricket e del golf. Si giocava su un campo erboso, con una mazza e una palla di legno: la sfida consisteva nel mandare la palla il più lontano possibile, oppure mandarla in un archetto o in buca con il minimo numero di colpi.

I vestiti? Erano... una tortura

Dal Medioevo all’Ottocento, vestirsi da “re” è stato infatti più un supplizio che un lusso. «L’abbigliamento regale non faceva distinzione di sesso e ogni accessorio indicava una diversa tappa di crescita», ha scritto la storica dell’arte Yannick Vu. Il primo anno era una tortura: venivano completamente fasciati per prevenire malformazioni e, solo gradualmente, venivano “liberate” braccia e gambe. Da uno a cinque anni, sia maschi che femmine indossavano lunghe tuniche e grembiuli ricamati. Poi, a cinque-sei anni, si iniziavano a indossare già i vestiti “da grandi”. Le bambine, ad esempio, venivano “ingabbiate” in crinoline, corsetti rigidi, stecche di balena (nella foto in galleria, Maria Teresa di Spagna).

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