Siamo nell'Antica Roma, è mattina e ricordo solo mia madre che piangeva e mio padre fiero che, a soli otto anni, la sua piccola Lavinia avesse ricevuto dai Numi un destino tanto importante: quello di servire la nostra dea del focolare domestico. Non è passato molto tempo da quando sono diventata sacerdotessa di Vesta, ma ormai di quella vecchia vita conservo solo la mia bambola d’avorio.
ACQUA PURA
È a lei che stamattina sto raccontando questa storia per l’ennesima volta. Ma si è fatto tardi: appoggio la mia amica sul letto ed esco dalla mia stanza per dirigermi alla fonte Egeria, nel bosco delle Camene, dove ogni giorno vado ad attingere l’acqua. Sarebbe più facile prendere quella dell’acquedotto, ma alle vestali dell'antica Roma è proibita, perché considerata impura. Perciò mi tocca sudare e sentir bruciare i muscoli delle braccia sotto il peso di questo grosso vaso d’argilla pieno fino all’orlo. Non posso neppure appoggiarlo a terra: il fondo è stato fatto apposta a punta, per evitare che il contenuto possa contaminarsi a contatto col suolo.
FUOCO SACRO
Con le braccia indolenzite, raggiungo la Casa delle vestali, dove abito: so già che per il resto della mattinata mi toccherà far la guardia al sacro fuoco nel tempio della dea, simbolo dell’eternità di Roma, ma oggi mi sento più stanca del solito.
Ieri è stata una giornata emozionante: era il primo marzo, Capodanno, e durante una elaborata cerimonia abbiamo dovuto smorzare la fiamma sacra, è questo l’unico giorno in cui è consentito farlo e poi riaccenderla sfregando due pezzi di legno di quercia, un albero considerato di buon augurio.
PUNITE CON LA FRUSTA
Mentre osservo la fiamma, gli occhi mi si chiudono da soli. Mi riscuoto. Mi sono addormentata! E le braci sul focolare si sono spente: dai carboni si alza solo un flebile filo di fumo. “Porzia!!” grido. Di corsa arriva l’anziana vestale: “Adesso saranno guai per te” dice, guardandomi addolorata. Di lì a poco giunge il pontefice massimo, il sacerdote più importante dell’antica Roma, armato di frusta: in silenzio ricevo la mia punizione. Ogni colpo mi lacera la pelle, il dolore è fortissimo e sembra non finire mai, ma alla fine riesco a non gridare. Quando il pontefice se ne va e il fuoco è riacceso, Porzia cerca di consolarmi: “Presto ti insegnerò a preparare la mola salsa” mi promette.
Questo mi tira un po’ su: so che si tratta di un compito molto importante, perché la focaccia ottenuta dall’impasto di farina di farro, acqua e sale viene usata solo in occasioni particolari, durante i sacrifici. Ma le ferite sulla schiena bruciano ancora.
PROIBITO INNAMORARSI
Per distrarmi Porzia decide che è ora di fare la mia prima uscita da vestale in pubblico: non sto più nella pelle. Mi sistemo il velo in modo che mi lasci scoperta solo la fronte, ma non la complicata acconciatura composta da sei finte trecce attorcigliate a nastri rossi. Poi, accompagnate dai littori, le nostre guardie del corpo, saliamo su un sontuoso carro e ci dirigiamo verso l’anfiteatro, dove abbiamo dei posti riservati per assistere agli spettacoli dei gladiatori. Al nostro passaggio la folla si apre, i magistrati e i consoli ci lasciano il passo. E quando incontriamo un condannato a morte, per legge l’uomo viene graziato.
Noto un giovane che mi osserva: gli sorrido. Ma Porzia mi fulmina con lo sguardo: finché resterò al servizio di Vesta non potrò mai avere un fidanzato. A rischio della mia vita. Chi di noi cede viene sepolta viva nel Campus sceleratus. Sospiro. Tra 30 anni, però, sarò di nuovo libera. Ma la più anziana ha capito cosa penso: “Non lo abbandonerai più il tempio di Vesta” mi dice. E quella sera nell'antica Roma, quando guardo le statue delle vestali allineate sotto il portico, penso che forse ha ragione.