Il 12 dicembre 1969, in quello che sembrava un normale pomeriggio di fine autunno, alle 16.37 una bomba sventrava il salone della Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana, a Milano, uccidendo 17 persone - 13 sul colpo - e provocando 88 feriti. L'episodio passerà alla storia come Strage di Piazza Fontana.
Contemporaneamente a Roma, altri tre ordigni esplosero in diversi punti della città, ferendo 16 passanti. Una quinta bomba, fortunatamente rimasta inesplosa, venne rinvenuta in Piazza della Scala a Milano e fatta brillare dagli artificieri.
Quel giorno segnò l'inizio della Strategia della Tensione, un periodo storico molto buio nel quale forze terroristiche vicine all'estrema destra tentarono di destabilizzare il clima politico del Paese attraverso attacchi e attentati. Secondo il piano infatti, la paura di istituzioni e cittadini (la "tensione" appunto) avrebbe portato ad una deriva più autoritaria del Paese.
COSA ACCADDE IN PIAZZA FONTANA?
A generare l'esplosione furono ben 7 chili di tritolo nascosti nel salone del grande tetto a cupola della Banca Nazionale dell'Agricoltura che ancora oggi mostra la sua facciata in Piazza Fontana, alle spalle del Duomo di Milano.
Quella sera, ai telegiornali, si parlò quasi di una dichiarazione di guerra, poiché la contemporanea esplosione di quattro bombe (che dovevano essere cinque) tra Milano e Roma indicava chiaramente l'esistenza di un'orchestra occulta che voleva colpire il Paese nelle sue due città principali.
LE INDAGINI
La storia della strage di Piazza Fontana è tristemente nota anche per i numerosi errori e depistaggi che subirono le inchieste per smascherare i colpevoli.
Il primo grosso, tragico, abbaglio fu l'accusa al ferroviere Giuseppe Pinelli. Questi apparteneva ad un gruppo di anarchici che inizialmente vennero indagati come sospetti responsabili della strage. Il giorno stesso dell'attentato Pinelli fu portato in Questura e lì vi rimase per i successivi tre giorni di interrogatori.
Il 15 dicembre però, Pinelli morì cadendo dalla finestra dell'ufficio del commissario Luigi Calabresi, che stava seguendo il caso.
La prima versione fu che Pinelli si era suicidato, forse mosso dal rimorso per quanto compiuto. Gli accertamenti successivi però dimostrarono che il ferroviere anarchico non era affatto coinvolto nell'esplosione della banca. L'episodio è tutt'ora gravato da molti punti oscuri.
Quando la verità sull'innocenza di Pinelli venne a galla, il commissario Luigi Calabresi subì una campagna denigratoria e di intimidazioni da parte di stampa, intellettuali e gruppi politici di sinistra che lo accusavano per la morte dell'anarchico.
Nel 1972 il commissario perse la vita per mano di alcuni militanti del gruppo estremista del gruppo di Lotta Continua. Come accertarono gli inquirenti però, Luigi Calabresi non era nel suo ufficio quando Pinelli volò dal quarto pianto.
MA ALLORA CHI FURONO I VERI COLPEVOLI?
Dopo Pinelli, un altro anarchico Pietro Valpreda, venne arrestato e accusato di essere il "mostro" dietro la Strage di Piazza Fontana, ma anche in questo caso - nonostante pagine e pagine di giornali ne parlassero come il certo colpevole - si scoprì che l'uomo era totalmente estraneo ai fatti.
Negli anni successivi, nonostante il muro di menzogne e false piste disseminate sulla strada degli investigatori, si giunse a stabilire che la mano dietro all'attacco bombarolo fu quella di un gruppo di estrema destra, Ordine Nuovo, i cui leader Franco Freda e Giovanni Ventura però non sono mai stati condannati perché assolti anni prima dalla Corte d'assise di Bari, quando ancora le prove incriminanti non erano ancora state trovate.
Al sanguinoso attentato di Piazza Fontana seguì il cosiddetto periodo dello stragismo, dove altre bombe piazzate in luoghi affollati colpirono civili innocenti proprio per far piombare l'Italia in uno stato di terrore,
L'orrore si ripeté nel 1974 in Piazza della Loggia a Brescia e sul treno Italicus, nel 1980 alla stazione di Bologna e nel 1984 sul Rapido 904, la tristemente famosa Strage di Natale.