Per cercare di comprendere le radici del conflitto israelo-palestinese, bisogna partire da molto lontano. Essendo l’unico popolo monoteista dell’antichità, gli Ebrei non volevano adorare le divinità imposte dai pagani e, nonostante le feroci repressioni, si ribellavano continuamente. La situazione si complicò nel 37 a.C. quando Erode divenne re del regno di Giudea il quale, come Stato “vassallo” di Roma, avrebbe goduto di una serie di libertà a patto che non avesse portato avanti una politica estera autonoma e che non si fosse ribellato.
Gli Ebrei, però, nonostante beneficiassero di una moderata libertà, si sollevarono contro i Romani i quali, per punizione, nel 6 a.C., trasformarono il regno di Giudea in una provincia vera e propria e la gestirono in maniera molto dura. Nel 70 d.C., per pacificare una volta per tutte la regione, Vespasiano e suo figlio Tito rasero al suolo il più importante luogo sacro della Giudea, il tempio di Gerusalemme – di cui adesso rimane solo il muro del pianto – e con una ferocia inaudita cacciarono gli Ebrei dalla Palestina: iniziava così la Diaspora, ovvero la dispersione del popolo ebraico. Da quel momento in poi, gli Ebrei furono costretti a vivere senza terra e cominciarono ad essere perseguitati.
Nel 637, la Palestina fu conquistata dagli Arabi, convertiti alla religione musulmana. Dopo questo passaggio di poteri, molti Ebrei si trasferirono nei domini islamici che, dietro il pagamento di una tassa, garantivano una maggiore tolleranza religiosa.
Nei regni cristiani, invece, la situazione per gli Ebrei divenne molto dura. Nel 1213 papa Innocenzo III, uno dei pontefici più feroci della cristianità, ordinò loro di indossare chiari segni di riconoscimento: simili nefandezze venivano imposte alle prostitute, ai mendicanti e ai lebbrosi. Accanto a questi obblighi, si diffusero una serie di voci deliranti secondo le quali gli Ebrei mangiavano bambini, avvelenavano pozzi per diffondere la peste e compivano riti magici per far rinsecchire i raccolti. Con l’arrivo della peste nera, nel 1348, la situazione precipitò e si scatenò una vera e propria caccia all’uomo. Da quel momento, qualunque cosa fosse accaduta – da un cattivo raccolto a un’epidemia – la colpa sarebbe stata data agli Ebrei. Nel frattempo, la Palestina, sotto il governo islamico passò di mano in mano fino a quando, dal 1516 al 1918, fu governata dall’Impero ottomano.
Durante la Prima Guerra Mondiale, gli Inglesi promisero ai Paesi arabi di appoggiare la loro indipendenza in cambio dell’insurrezione contro i Turchi ottomani, alleati della Germania. In realtà, nonostante le promesse, i possedimenti ottomani erano già stati spartiti segretamente tra Inghilterra e Francia. Dopo la guerra, infatti, l’Inghilterra occupò l’Iraq e la Palestina e la Francia il Libano e la Siria. Inoltre, dietro pressioni della ricca comunità ebraica, gli inglesi favorirono l’acquisto di terre della Palestina da parte degli Ebrei, i quali, in seguito a una forte ondata migratoria, nel 1922 divennero l’11% della popolazione della “Terra Santa”.
Nel frattempo, si era diffusa una corrente politico-religiosa che non si accontentava, come auspicato dagli inglesi, della concessione di una terra dove poter vivere in pace, bensì spingeva per la formazione di uno Stato vero e proprio. Questa dottrina, chiamata sionismo dal nome del monte Sion nel quale era stata fondata Gerusalemme, divenne il baluardo del nazionalismo ebraico. Poco tempo dopo, cominciarono i primi contrasti ma la situazione precipitò soltanto nel decennio successivo per colpa della più grande tragedia che l’uomo abbia mai potuto concepire: il Nazismo.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Inghilterra si dimostrò incapace di mantenere l’ordine in Palestina e quindi fu la comunità internazionale a farsi carico di risolvere il problema di un popolo senza terra. Con lo scopo di trovare una soluzione condivisa, l’ONU nel 1947 emanò la risoluzione 181 la quale, oltre a porre Gerusalemme sotto il controllo internazionale, prevedeva la divisione della Palestina in due parti, ma assegnava agli Ebrei il 56% del territorio, tra cui la zona più fertile e costiera.
A complicare ancor di più la situazione, nei territori a loro assegnati, gli Ebrei nel 1948 fondarono Israele. Questo gesto fu visto come una grave provocazione da parte degli Stati arabi che dichiararono guerra alla nuova nazione. L’anno successivo, gli Ebrei sconfissero la coalizione e riuscirono persino ad annettere alcuni territori assegnati ai Palestinesi, arrivando a controllare il 78% della regione. Approfittando della situazione, anche alcuni Paesi musulmani rosicchiarono porzioni di terra alla Palestina e infatti nel 1949 l’Egitto ottenne il controllo della Striscia di Gaza e la Giordania occupò la Cisgiordania e Gerusalemme est. Dopo questo conflitto, quasi un milione di musulmani furono costretti a lasciare Israele e a rifugiarsi in 59 campi profughi in Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania e Gaza. Questa catastrofe umanitaria fu chiamata al-Nakba, che in arabo vuol dire “Disastro”.
Nel 1956, in risposta alla nazionalizzazione del canale di Suez – importante per il trasporto del petrolio – Israele, Inghilterra e Francia invasero l’Egitto ma ben presto dovettero ritirarsi per l’intervento di USA e URSS, questa volta alleati. Nel 1967, la crisi si riaccese di nuovo sempre per il controllo del canale di Suez. Per vendicarsi della chiusura alle loro navi di questa importante via di comunicazione, Israele attaccò i paesi arabi confinanti e li sconfisse nella “Guerra dei sei giorni”. Dopo questo conflitto, lo Stato ebraico conquistò altri territori come la Striscia di Gaza, la Cisgiordania, la penisola del Sinai, le alture del Golan e Gerusalemme est – la parte vecchia della città abitata da Palestinesi – quintuplicando il suo territorio. Anche questa volta intervenne l’ONU che, con la risoluzione 242, dichiarò nulla l’annessione di Gerusalemme est e impose il ritiro di Israele dai territori occupati. Sfruttando alcune ambiguità nate dalla traduzione della risoluzione, Israele però non restituì i territori.
Nel 1973, il nuovo presidente dell’Egitto, Sadat, si mise a capo di una coalizione di paesi arabi, sbandierando la questione palestinese ma di fatto tentando di recuperare la penisola del Sinai. Appoggiata dall’URSS, la coalizione colse di sorpresa Israele che riuscì a resistere soltanto grazie all’aiuto degli USA. La guerra, chiamata “del Kippur”, si concluse con un nulla di fatto ma da quel momento in poi Israele si sentì vulnerabile. In appoggio alle operazioni militari, i paesi arabi decisero di chiudere i rubinetti del petrolio agli Israeliani e a tutti i loro alleati – compresa l’Italia – provocando la più grande crisi energetica del XX secolo. Dopo lunghi colloqui di pace, nel 1978, grazie agli accordi di Camp David Israele restituì la penisola del Sinai e in cambio l’Egitto, primo fra i paesi arabi, riconobbe lo Stato di Israele.
Dopo qualche anno di “tregua”, nel 1987 Gaza fu scossa da una violenta protesta chiamata Intifada – che in arabo vuol dire “Risveglio” – caratterizzata da scioperi, manifestazioni e attacchi ai convogli militari israeliani. Durante l’Intifada, nel 1988, fu fondata un’organizzazione politico-militare chiamata Hamas, creata come ramo del partito islamista dei “Fratelli musulmani”, che operava in Egitto.
L’Intifada si concluse con gli “Accordi di Oslo”, firmati da Arafat, leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, e da Rabin, primo ministro israeliano, alla presenza del presidente degli Stati Uniti, Clinton. Gli accordi prevedevano il riconoscimento di una sorta di Stato Palestinese, chiamato “Autorità Nazionale Palestinese”, a cui sarebbe stata progressivamente concessa una moderata autorità politica e la gestione amministrativa della Striscia di Gaza, nella quale però gli Israeliani si sarebbero riservati il controllo – e lo fanno ancora oggi – dello spazio aereo, delle acque, dell’anagrafe e dell’ingresso delle merci. Per protestare contro questi accordi, un estremista religioso ebreo uccise il primo ministro israeliano Rabin.
Cogliendo di sorpresa i servizi segreti israeliani, il 7 ottobre scorso Hamas ha scatenato una violenta offensiva nei confronti di Israele. Oltre al lancio di 5.000 razzi, migliaia di miliziani hanno assaltato le postazioni di controllo e sono entrati in territorio israeliano, provocando più di 200 morti e centinaia di feriti.
Dopo questo attacco – non si era mai vista un’operazione di tale portata – è subito scattata la “risposta” del governo Netanyahu. Secondo il ministro della difesa, l’azione israeliana avrebbe mirato alla distruzione delle basi di Hamas e alla creazione di un “nuovo regime di sicurezza” intorno alla Striscia di Gaza. In un primo momento Stati Uniti ed Europa hanno appoggiato in maniera incondizionata la reazione di Israele ma più recentemente, sia per timore di un’occupazione permanente di Gaza sia per evitare che il conflitto si diffonda in tutta la regione, la durezza dell’operazione è stata criticata in maniera decisa dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e in termini più morbidi persino dal principale alleato di Israele, gli Stati Uniti.
Negli ultimi giorni le parti stanno trattando uno scambio di prigionieri e soprattutto un cessate il fuoco che possa permettere l’apertura di un corridoio umanitario attraverso il quale far giungere medicine e viveri alla stremata popolazione civile della Striscia di Gaza. Al momento, purtroppo, nessuno può prevedere la reazione del mondo arabo, la posizione delle altre grandi potenze – prime fra tutte Cina e Russia – ma soprattutto come e quando il conflitto possa terminare. (articolo aggiornato al 16 novembre 2023)
Bibliografia: Camilleri E., Questione palestinese (1897-1997), Youcanprint, 2019; Gelvin, J. L., Il conflitto israelo-palestinese. Cent’anni di guerra, Einaudi 2007; Guerracino S., Una guerra del ventunesimo secolo, Mondadori, 2002; Pappe I., Arlorio P., Storia della Palestina moderna: una terra, due popoli, Einaudi, 2014; Said E. W., La Questione Palestinese, Il Saggiatore 2011; Vercelli C., Storia del conflitto israelo-palestinese, Laterza, 2010.
Sitografia:
www.corriere.it –Palestina e Israele: la storia del conflitto e le tappe principali.
www.focus.it – Israele e Palestina: la storia di una terra ancora contesa.
www.ispionline.it – Israele-Palestina: 12 grafici per capire come siamo arrivati fin qui.
www.repubblica.it – Conflitto tra Israele e Palestina: protagonisti, motivi, storia.
www.skytg24.it – Israele-Palestina, i motivi storici del conflitto.
www.unrwa.org (Sito dell'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, UNRWA) –Rapporto dell'UNRWA sulla situazione nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Canali YouTube:
Alessandro Barbero – Il Conflitto Israele-Palestina (Alessandro Barbero, 2023).
Geopop – Le ragioni storiche della questione israelo-palestinese. Perché si fanno la guerra? La spiegazione.
Matteo Saudino, Barbasophia – Gaza-Hamas-Israele spiegato a ragazzi di terza superiore.
Matteo Saudino, Barbasophia – Barbasimposio: storia conflitto arabo-israeliano.
Chi è l'autore di questo articolo: Adriano Di Gregorio, dottore di ricerca in Storia moderna, dapprima si è laureato in Lettere moderne e in seguito in Filosofia. Dal 1998 al 2013 ha collaborato con la cattedra di Storia moderna dell’Università di Catania e nel 2005 ha conseguito il titolo di Assegnista di ricerca. Dal 2007 al 2013 è stato professore a contratto di “Storia delle esplorazioni e delle scoperte geografiche” e di “Storia del Mediterraneo”. Attualmente collabora con il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Catania ed è insegnante di ruolo di Italiano e Storia negli istituti di istruzione secondaria. Ha pubblicato tre romanzi gialli – Il Peso della verità (2014), La maga e il Talismano (2016) e L’abito da sposa (2019) – e gestisce un canale Youtube, Le Lezioni di Adriano Di Gregorio, seguito da 40.000 followers. Tratto dalle sue videolezioni, ha pubblicato La Storia raccontata ai ragazzi… e non solo e L’impero romano raccontato ai ragazzi… e non solo. Ha pubblicato anche un libro intitolato Storia della Sicilia islamica.