15 marzo 2017, ore 12. L'appuntamento è qui a Roma, davanti alla statua di Caio Giulio Cesare in via dei Fori Imperiali: sono passati 2.061 anni precisi dal giorno della sua morte. Tiro fuori il block notes, pronta a prendere appunti per la mia prima intervista impossibile e intanto continuo a fissare quel viso di bronzo, segnato dal tempo.
Ehm... ehm....
Ma no, ma no: mi presenti pure! Mi piace sentir parlare di me...
Ma anche “oratore” e “scrittore”. “Non vedo a chi Cesare debba cedere il passo: ha un modo di esporre elegante, brillante e, in un certo senso, anche magnifico e generoso”: l'ha scritto Cicerone. E non è che fosse un mio grande amico... Pensi che da ragazzo desideravo diventare scrittore. Poi le mie doti militari e il mio fascino hanno avuto la meglio: non trova anche lei?
E lei come fa a conoscere certi particolari?
E il suo amico Svetonio non dice nulla dei miei famosissimi progenitori? Il primo grande re di Roma, Romolo, era mio antenato. E andando indietro nel tempo persino il principe troiano Enea e sua madre, la dea Venere!
Mi creda, è stata una fortuna: per quale motivo pensa che il popolo mi abbia amato così tanto? È grazie al suo appoggio, oltre che alla mia ambizione, se ho sfondato in politica.
Nel 59 a.C. fui nominato governatore delle Gallie, la terra che oggi voi chiamate “Francia”. Iniziai a combattere l'anno dopo e nel 50 a.C. finii di sottomettere quell'enorme regione: fu un grande successo, contro il valoroso Vercingetorige. Non mi guardi così: a me i Galli stanno anche simpatici. Pensi, il mio primo precettore, Antonio Grifone, era uno di loro. Comunque da allora non ho più smesso di combattere: la guerra civile contro Pompeo Magno, la guerra alessandrina, la campagna d'Africa contro Catone e quella di Spagna contro Sesto Pompeo... Che bei tempi!
Asia Minore, 2 agosto del 47 a.C. Vicino a Zela distrussi l'esercito di Farnace II, il ribelle figlio del re del Ponto, Mitridate. Veni, vidi, vici: “Venni, vidi e vinsi”, mia cara.
Finì male. Un indovino mi aveva persino messo in guardia, ma ci risi su. Era il 15 marzo, come oggi, il primo giorno di primavera: uscii di casa alle 11 per incontrare i senatori e percorsi la via Sacra, acclamato dalla folla. Quando giunsi nella Curia, però, rimasi solo: i congiurati mi circondarono. Il primo a pugnalarmi fu Publio Casca, poi gli altri mi furono addosso: mi colpirono 23 volte. Tra i miei assassini c'era anche Marco Bruto: Tu quoque, Brute, fili mi. Anche tu, Bruto, figlio mio...
Alzo gli occhi dal mio foglio: Cesare è andato via.
Nel 49 a.C., il Senato tolse a Cesare il titolo di console e gli ordinò di congedare l'esercito. Il condottiero, di ritorno dalle Gallie, si fermò sul fiume Rubicone: oltre quel punto, che allora segnava il confine con il territorio romano, era vietato proseguire in armi. Esitò: la posta in gioco era alta, si trattava di scatenare una guerra civile.
Cosa fare? “Alea iacta est”, disse: cioè “il dado è tratto”. La decisione era presa: il 10 gennaio, violando la legge, attraversò il corso d'acqua con le sue legioni.
E l'anno dopo, sconfitto il rivale Pompeo, divenne capo indiscusso di Roma.
CARTA D'IDENTITÀ
Professione: condottiero romano, console e dittatore a vita
Nato a: Roma
Data di nascita: 12 luglio 100 a.C.
Data di morte: 15 marzo 44 a.C.
Causa di morte: assassinato con 23 coltellate
Occhi: neri
Pelle: chiara
Costituzione: alto e magro
Mogli: 4
Difetti: vanitoso ed egocentrico
Pregi: generoso, indulgente e sicuro di sé
Bevanda preferita: il vino Mamertino, prodotto in Sicilia
Animale preferito: la murena (ne aveva un allevamento)
Malattie: epilessia
Segni particolari: lasciò il suo patrimonio in eredità al popolo romano