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Delitto Matteotti: cos’è stato e perché lo dobbiamo ricordare

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Delitto Matteotti: cos’è stato e perché lo dobbiamo ricordare
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Il 10 giugno 1924 il socialista Giacomo Matteotti venne brutalmente assassinato dalle squadracce fasciste. Ma perché questo tragico evento fu così importante per la storia italiana?

Dopo anni di crisi e tumulti sociali dovuti agli strascichi della Grande Guerra, il 31 ottobre del 1922 il Re d'Italia Vittorio Emanuele III affidò a Benito Mussolini, leader del neonato partito fascista, l'incarico di formare un nuovo governo per riportare ordine e sicurezza nel Paese. Da quel giorno Mussolini non avrebbe più abbandonato il potere, imponendo agli italiani un regime autoritario che si sarebbe esaurito solo vent'anni più tardi. Eppure, quando si parla del periodo fascista, spesso si fa coincidere l'inizio della vera dittatura con un episodio che si sarebbe verificato soltanto due anni dopo l'effettivo inizio del governo Mussolini: il delitto Matteotti del 10 giugno 1924.

Chi era Giacomo Matteotti?

Giacomo Matteotti, nato a Fratta Polesine (Rovigo) il 22 maggio 1885, era un membro della Camera dei Deputati, nonché segretario del Partito Socialista Unitario (PSU), nato dalla costola dell'origianrio Partito Socialista Italiano (PSI). Con l'avvento della Prima Guerra Mondiale i socialisti si erano infatti divisi su molti argomenti importanti, come la necessità d'intervenire o meno nel conflitto, e i forti dissidi avevano dato origini ad espulsioni e nuovi partiti.

Lo stesso Mussolini aveva iniziato la sua avventura politica come socialista, ma le sue posizioni interventiste (cioè a favore dell'entrata in guerra) lo avevano allontanato sempre di più dal partito, fino alla sua espulsione nel 1914.

Matteotti invece era sempre rimasto contrario alla partecipazione alla guerra e quando nel dopoguerra cominciarono le lotte operaie e contadine, Matteotti e Mussolini si trovarono ad essere acerrimi avversari: il primo era a favore di riforme per venire incontro alla classe operaia e contadina, mentre il secondo finì per diventare il braccio armato della borghesia, che voleva riportare l'ordine in tutto il Paese.

Il delitto Matteotti

Quando Mussolini fondò il Partito Nazionale Fascista e compì la celebre Marcia su Roma ottenendo il potere dal Re, Matteotti divenne una delle voci di spicco dell'opposizione, denunciando ripetutamente brogli elettorali - ossia scorrettezze per alterare l'esito delle elezioni - le violenze perpetrate dai camerati fascisti per stroncare ogni forma di protesta al nuovo regime.

Fu proprio un suo celebre discorso tenuto alla Camera il 30 maggio 1924 a firmare il suo destino:

«Voi volete rigettare il paese indietro, verso l’assolutismo - disse - Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano». E consapevole della pericolosità delle sue parole concluse: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora preparate il discorso funebre per me».

Pochi giorni dopo, infatti, il 10 giugno un gruppo di squadristi fascisti guidati da Amerigo Dumini rapì il deputato mentre si stava recando alla Biblioteca della Camera e poiché Matteotti continuava ad opporre resistenza, i rapitori lo uccisero durante il tragitto. Il suo corpo sarebbe stato ritrovato solo due mesi dopo, il 12 agosto 1924.

Perché il delitto Matteotti è stato così importante?

Quello che accadde a Giacomo Matteotti viene ricordato come un momento di svolta perché rivelò una volta per tutte il vero volto del fascismo. Era stato infatti Benito Mussolini ad ordinare la morte dello scomodo socialista e dopo mesi di discussioni e proteste da parte della minoranza - come la nota "Secessione dell'Aventino", dove i membri dell'opposizione disertarono il Parlamento per riunirsi sul colle Aventino -  fu lo stesso Duce ad attribuirsi la responsabilità dell'omicidio, dimostrandosi determinato a stroncare ogni forma di dissenso.

«Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! - proclamò Mussolini nel celebre discorso del 3 gennaio 1925 - Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi». Tali parole vennero accolte da un Parlamento che non aveva più risorse per opporre alcuna resistenza.

Da quel momento il Duce e i suoi gerarchi - ormai consapevole della loro forza iniziarono - a costruire la dittatura che avrebbe trascinato l'Italia in uno dei periodi più bui della sua Storia.

Per ulteriori approfondimenti consigliamo lo speciale di RAI CULTURA dedicato all'argomento

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