Molto citata ma forse poco trattata a scuola, l'impresa di Fiume è stato uno degli eventi più significativi della storia del Regno d'Italia a cavallo tra il primo dopoguerra e l'avvento del regime fascista. Tale episodio vide il protagonista il grande poeta Gabriele d'Annunzio, il quale organizzò in prima persona l'occupazione della città indipendente di Fiume e diede corpo ai sempre più forti sentimenti nazionalisti che stavano montando in tutto il Paese. Ma vediamo bene che cosa accadde...
Nel 1915 l'Italia aveva fatto il suo ingresso nella Prima Guerra Mondiale con la promessa che, in caso di vittoria, avrebbe esteso i propri confini al Trentino, all'Alto Adige, alla Venezia Giulia, e a buona parte dell'Istria e della Dalmazia settentrionale.
Quando però le armi tacquero, le clausole della Conferenza di pace di Parigi del 1919 negarono agli italiani la Dalmazia (una regione affacciata sull'Adriatico che oggi è spartita tra Albania, Croazia, Bosnia Erzegovina e Montenegro), Istria e la città di Fiume, che non era prevista negli accordi iniziali ma che l'Italia reclamò come indennizzo rispetto alle promesse mancate. La ragione dietro a questo diniego fu la creazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (poi divenuto Jugoslavia) che doveva riunire tutte le genti slave in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli proclamato dal presidente americano Woodrow Wilson.
Per questo la Dalmazia, abitata principalmente da slavi, non venne affidata all'Italia. Fiume però era popolata principalmente da cittadini d'origine italiana e ciò accese le ire dei nazionalisti - coloro che mettevano la nazione e il suo prestigio sopra ogni altro valore - i quali cominciarono a parlare di "vittoria mutilata".
Nel 1919 Gabriele d'Annunzio non solo era molto probabilmente la voce nazionalista più autorevole, ma l'uomo più celebre del Regno: poeta, scrittore ed intellettuale a tutto tondo, d'Annunzio aveva da tempo sforato i confini letterari, divenendo il Vate, la guida della nazione.
Dopo la pubblicazione le clausole dei vari trattati di pace, d'Annunzio tuonò contro le mancate promesse che sfregiavano l'onore italiano, trovando un vasto consenso tra la popolazione. L'Italia del dopoguerra infatti stava attraversando un forte momento di crisi e tra povertà, scioperi e scontri di piazzi, in molti trovarono nelle parole del Vate un faro di speranza.
Così, appoggiato da alcune frange di reduci di guerra e perfino di truppe regolari dell'esercito, d'Annunzio organizzò una vera e propria cospirazione per prendere possesso della città di Fiume e rivendicarla come conquista italiana.
Il 12 settembre 1919 d'Annunzio e i suoi circa 2.6000 "legionari" - come li aveva ribattezzato lui stesso - entrarono a Fiume acclamati dalla popolazione italiana e istituirono un governo provvisorio e una Carta Costituzionale, la Carta del Camaro, di cui alcune caratteristiche verranno riprese qualche anno più tardi dal regime fascista. Scarsa fu la resistenza delle truppe jugoslave, anche perché la stessa Jugoslavia stava ancora nascendo ufficialmente.
Grande fu l'entusiasmo di molti cittadini in patria (tra i quali Benito Mussolini, che sostenne anche economicamente i legionari con le raccolta fondi del suo giornale Il Popolo d'Italia) ma il Governo italiano presieduto da Francesco Saverio Nitti oppose subito le proprie rimostranze. Benché caldeggiata da una parte della popolazione infatti, la presa di Fiume era una violazione dei trattati che lo stesso Regno Italiano aveva firmato e ciò avrebbe aperto una complicata disputa diplomatica.
Il Governo dunque, dopo aver sospeso i rifornimenti alla città, cominciò a cercare una risoluzione pacifica con d'Annunzio e i suoi, impegnandosi a difendere la città da ogni tentativo d'annessione jugoslavo. Gli arditi di Fiume però volevano l'annessione definitiva ai confini italiani, la trattativa si arenò, e d'Annunzio formò la Reggenza italiana del Carnaro, di fatto proclamando l'indipendenza civile e militare della città in attesa dell'annessione all'Italia.
L'avventura fiumana si concluse nel 1920. Al governo italiano ora c'era il vecchio Giovanni Giolitti, il quale era deciso a "normalizzare" i rapporti con la Jugoslavia. Il il 12 novembre 1920 venne così firmato il Trattato di Rapallo che disegnava i confini italiani e jugoslavi. L'Italia ottenne Trieste, Pola, Zara e Gorizia. riconoscendo Fiume come Stato libero e indipendente.
D'Annunzio non riconobbe quanto stabilito a Rapallo e perciò il governo fu costretto a incaricare il generale Caviglia di far sgomberare con la forza i ribelli. L'attacco, con tanto di cannoni e mitragliatrici, iniziò il 24 dicembre 1920 (per questo d'annunzio parlò di "Natale di Sangue") e si concluse il 28 dicembre, piegando la resistenza dei legionari barricati dentro la città. Nel gennaio del 1921 terminò l'occupazione e d'Annunzio tornò in Italia insieme ai suoi seguaci.
La storia però non si concluse così. Nel 1922 altri nazionalisti tornarono a Fiume e la occuparono fino al 1924, quando il nuovo governo fascista di Mussolini annetté la città ai confini italiani.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la fine del fascismo, Fiume tornò alla Jugoslavia e oggi fa parte della nuova Croazia indipendente e porta il nome di Rijeka.