Il 20 maggio del 1970 entrava in vigore lo Statuto dei Lavoratori, un testo fondamentale contenente le principali normative che regolavano (e regolano tutt'ora) i diritti e i doveri di dipendenti e datori di lavorio. Tale documento venne ottenuto al termine di una lunga serie di lotte - talvolta sfociate anche in episodi di violenza - tra i lavoratori, sindacati (ossia le associazioni nate per tutelare i lavoratori stessi) e la classe dirigente italiana.
LA STORIA DELLO STATUTO
Immaginarlo oggi ci viene difficile ma quando la Seconda Guerra Mondiale terminò, in Italia non si dovettero solo ricostruire strade ed edifici, ma la struttura stessa dell'intero Paese: nel 1946 il Regno era infatti diventata una Repubblica - un cambiamento epocale! - e ciò avviò un lungo processo che doveva trasformare uno Stato proveniente dal ventennio fascista in una democrazia moderna.
Ovviamente il tema del lavoro era uno dei punti più importanti. L'Italia doveva riprendere a produrre e nonostante il cosiddetto boom economico che negli anni '50-'60 proiettò il nostro Paese tra le grandi potenze economiche europee, in molti settori lavorativi vi erano ancora disparità e mancanze che scontentavano milioni di lavoratori. In quegli anni infatti erano le grandi fabbriche i centri pulsanti dell'economia, e sempre più italiani abbandonavano i piccoli centri urbani per sciamare verso le grandi industrie alla ricerca di uno stipendio sicuro e una vita migliore.
Negli anni '60 dunque, con il mondo del lavoro in continui cambiamento, si accese la discussione la discussione politica per "mischiare le carte" in materia di diritti sul lavoro. I sindacati (le cui sigle più importanti erano CGIL, CISL e UIL) chiedevano adeguamenti dei salari, limitazioni delle possibilità di licenziamento (non si voleva cioè che un lavoratore venisse allontanato senza una giusta causa) e, in generale, la possibilità di avere più voce in capitolo. Ovviamente tali richieste incontravano l'opposizione dei grandi imprenditori e di una certa fetta della classe politica italiana.
Alla fine, nel 1970, dopo anni di aspri scioperi che videro anche interventi scontri tra folle agguerrite e polizia, la discussione tra le parti arrivò ad un punto d'incontro e nacque lo Statuto dei Lavoratori
CHE COS'È
La legge 300 del 20 maggio 1970, ossia lo Statuto dei Lavoratori, è un documento che deve gran parte del proprio contenuto al sindacalista socialista Giacomo Brodolini, che fu anche Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
Tale Statuto è composto da sei Titoli e 41 Articoli e tocca tre snodi fondamentali nel rapporto diendente - datore di lavoro. Cerchiamo di riassumerli.
Libertà e dignità del lavoratore: ogni lavoratore ha il diritto di manifestare il proprio pensiero indipendentemente dal proprio orientamento politico e/o religioso, ovviamente nel rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione. Il datore di lavoro dunque non può indagare sugli interessi politici (o religiosi) dei propri dipendenti, né sorvegliarli, né discriminarli.
Libertà sindacale e attività: tutti i lavoratori possono associarsi in organizzazioni e sindacati per tutelare il proprio ambiente lavorativo. Ogni datore di lavoro deve dunque permettere che il sindacato si riunisca, prenda delle decisioni e possa comunicare le proprie disposizioni (ad esempio affiggendo manifesti) all'interno del luogo di lavoro.
Licenziamento illegittimo: l'Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori tutela anche i dipendenti in caso di licenziamento illegittimo, ossia un provvedimento avvenuto senza una giusta causa. Se, ad esempio, un lavoratore ritiene di essere stato allontanato non per mancanze sul luogo di lavoro ma a causa delle proprie idee politiche, allora può appellarsi all'Articolo 18.