Il grande pubblico aveva cominciato ad occuparsene circa due anni fa, quando la giovane americana Feroza Aziz, aveva pubblicato sul social Tik Tok un video per denunciare le persecuzioni subite dagli uiguri in Cina, camuffandolo da tutorial di make-up. Ora però la questione torna d'attualità visto che l'ONU ha riconosciuto ufficialmente le violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Cina proprio nei confronti di questa minoranza etnico-religiosa che negli ultimi decenni è stata quasi nascosta agli occhi dell'opinione pubblica internazionale.
Cerchiamo dunque di conoscere meglio questa popolazione e capire perché grandi organizzazioni umanitarie come Amnesty International ne stanno denunciando le sofferenze e le repressioni da parte del governo di Pechino.
Gli uiguri sono un'etnia turcofona - che dunque parlano una lingua di ceppo anatolico strettamente imparentata con il turco - che vive nella regione del Xinjiang, nel nord-ovest della Cina. Essi appartengono ad un ramo di quelle tribù di lingua turca originarie dell'Asia Centrale e che nel corso dei secoli si sono sospinti alle estremità del continente: gli avi dei turchi emigrarono verso occidente, insediandosi nella penisola anatolica e fondando l'Impero Ottomano, mentre altri gruppi, come appunto gli uiguri, rimasero ad Est.
Il termine "uiguri" - che significa "gli alleati", "coloro che sono uniti" - venne dunque coniato per indicare un popolo che si insidiò nell'odierna Mongolia, ma oggi, a causa dei grandi mutamenti storico-politici accaduti nel corso della Storia, gran parte degli uiguri si trovano a vivere in territorio cinese.
Questo popolo, proprio per la differente derivazione etnica, appare fisicamente distinto dal resto dei cinesi, presentando un mix di tratti asiatici ed europei. La differenza più grossa però risiede nel fatto che gli uiguri sono musulmani.
Dal momento che rappresentano circa lo 0,6% degli abitanti totali della Cina, gli uiguri sono una minoranza molto esigua, benché all'interno della loro regione, lo Xinjiang, essi occupano un ruolo maggioritario con il 46% della popolazione locale (il resto è distribuito tra kazaki e cinesi di etnia Han).
Eppure il governo cinese ritiene pericoloso questo gruppo di religione islamica, tanto da quasi vent'anni la regione dello Xinjiang è uno dei posti più sorvegliati al mondo, con i cittadini che pressoché ogni giorno subiscono controlli da parte della polizia, vivono costantemente monitorati da una fitta rete di telecamere a riconoscimento facciale che copre tutta l'area urbana del luogo e sono perfino sottoposti a prelievi del DNA per una maggiore tracciabilità in caso di crimini o acquisti sospetti (es: armi). Il motivo? La lotta la terrorismo.
Già negli anni '90 l'area in cui abitano gli uiguri venne interessata da scontri, atti di guerriglia e rivendicazioni indipendentiste - in molti volevano "staccarsi" dal Paese o almeno entrare nelle sfere d'influenza degli Stati musulmani confinanti, ma fu dopo l'11 settembre 2001 che la Cina diede un ulteriore, violento, giro di vite alle libertà della minoranza religiosa. Per Pechino infatti, la repressione degli iuguri è solo un atto di controllo e difesa di un territorio chiave (lo Xinjiang è ricco di risorse naturali come carbone, gas naturale e petrolio) per impedire che alcuni musulmani prendano la via del fondamentalismo islamico e diventino dei terroristi.
Nel 2009, in seguito ad una manifestazione, si verificò l'episodio più eclatante, con 184 vittime (tra cinesi e uiguri) e oltre 1.400 arresti, ma nel decennio successivo le persecuzioni non hanno fatto che aumentare, ben nascoste dall'occhio del mondo. Dal 2017 si è iniziato a parlare di veri e propri campi di concentramento: per Pechino si tratta di centri di "rieducazione" per riformare i cittadini, mentre secondo enti umanitarie e governi occidentali i campi di lavoro sarebbero dei lager concepiti appositamente per cancellare lo spirito d'appartenenza all'identità uigura (fonte: New York Times).
Mentre la Cina e il governo comunista al potere continua a negare ogni la persecuzione sistematica e far valere il proprio peso politico ed economico per impedire intromissioni sulla questione, le altre nazioni hanno cominciato ad interessarsi seriamente del problema.
Numerosi paesi hanno infatti avviato inchieste per verificare le condizioni dell'etnia uigura nella regione autonoma dello Xinjiang e se già fine 2019 la la Camera degli Stati Uniti aveva approvato il disegno di legge Uighur Human Rights Policy Act che prevedeva sanzioni mirate ai danni della Cina, da marzo 2021 anche l'Unione Europea ha cominciato a sanzionare membri del governo cinese.
Il rapporto ONU del primo settembre 2022 potrebbe rappresentare un punto di svolta.
«L'entità della detenzione arbitraria e discriminatoria di membri della comunità uigura e di altri gruppi a maggioranza musulmana può equivalere a crimini internazionali, in particolare crimini contro l'umanità» si legge nel rapporto, anche se la Cina ha subito negato tutte le accuse. Nei prossimi mesi sono attesti sviluppi: nuove sanzioni in arrivo?