Li avete visti. Ma certo che li avete visti! Quei dipinti in cui le teste di persone erano fatte di frutti e di verdure, oppure di animali od oggetti, come i libri che componevano la figura del suo “Il bibliotecario”. L’autore di questi celebri dipinti, unici nel loro genere, si chiamava Giuseppe Arcimboldi, ma era conosciuto da tutti come “Arcimboldo”.
Giuseppe Arcimboldi nacque a Milano nel 1527 e morì nella stessa grande città lombarda nel 1593, all’età di 66 anni (che all’epoca significava essere anziani veramente, non come oggi che a quest’età si è ancora giovani). Di famiglia aristocratica, imparò le arti dal padre e in breve tempo divenne un pittore molto conosciuto. Lavorò per anni, da giovane, agli affreschi delle vetrate del Duomo di Milano, eseguì gli affreschi all’interno del Duomo di Monza e un arazzo nella Cattedrale di Como. Fu al servizio delle corti di Vienna e di Praga, per le quali costruì maschere e scenografie, disegnò costumi e persino acconciature per le signore in occasione di grandi eventi regali (al Museo degli Uffizi di Firenze sono conservati 148 disegni dei suoi progetti per le corti di Vienna e Praga). Aveva un’indole piuttosto irrequieta ed era appassionato di scienza, oltre che di tutto ciò che gli appariva come strano e bizzarro.
A 36 anni, nel 1563, iniziò ad immaginare le persone come se fossero composte da frutti, da animali, da verdure, da oggetti di vario genere. E dipinse ciò che aveva immaginato: teste umane fatte di rami e foglie di tantissime specie, fatte di pesci e altri esseri viventi e molto altro. Le sue furono infatti chiamate “Teste composte”, come quelle de “L’ortolano”, o il già citato “Il bibliotecario”, o “Il fuoco” o “Testa reversibile con cesto di frutta”, tanto per citarne alcuni.
Sì, reversibile: perché alcuni suoi dipinti si possono guardare anche capovolti, e daranno vita ad altre immagini, diverse. Teste un po’ divertenti e un po’ mostruose, sicuramente geniali e stravaganti.
In quell’epoca molti studiosi di scienza e di anatomia iniziarono ad occuparsi dei cosiddetti mostri, ossia esseri umani nati con difetti che li rendevano molto brutti. C’è da dire che molti di questi “mostri” non erano reali, ma presi dalle cronache dei viaggiatori, che avevano una fantasia così viva da inventare esseri di tutti i tipi: il pesce vescovo (un pesce abbigliato come un vescovo), uomini con una sola gamba e un piede gigantesco e cose di questo tipo. E Arcimboldo, che era anche uno studioso della natura, ma che era appassionato di queste cose, collaborò con un grande “scienziato” dell’epoca, Ulisse Aldrovandi, illustrandone alcune opere.
Aldrovandi, nei suoi libri, parlò spesso di questi esseri “mostruosi”, alcuni (pochi) reali, e altri (molti) fantastici. Allo stesso tempo, Arcimboldo aveva studiato in modo profondo le opere di Leonardo Da Vinci, e fu colpito dalle sue caricature, che certamente lo ispirano per la pittura delle “Teste composte”. Attraverso le teste umane, egli riuscì a simboleggiare i quattro elementi (Aria, Fuoco, Terra, Acqua) e le quattro stagioni (Primavera, Inverno, Estate e Autunno), a cui dedicò opere davvero eccezionali.
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