Prova a pensarci un attimo: con quale strumento scrivi di più? Fino a qualche anno fa la risposta era scontata, la biro. Ma con il diffondersi dei computer, degli smartphone e dei tablet chissà, magari tra qualche anno carta e penna scompariranno.
E se sei convinto che una delle torture più grandi della scuola sia proprio scrivere a mano pagine e pagine, è solo perché non sai come scrivevano i poveri studenti dell'antica Roma...
Per gli appunti (e quindi soprattutto a scuola) i romani utilizzavano... un "tablet", ma molto più difficile da usare: le tabulae, tavolette di legno ricoperte di cera. Per scrivere si incideva la superficie della cera con un bastoncino di legno appuntito chiamato stilus. E per cancellare? Lo stilus all'altra estremità aveva una “gomma”: una spatolina con cui rispalmare la cera per coprire i solchi delle parole scritte per poterne così incidere di nuove. Quando la cera era troppo rovinata si stendeva un nuovo strato di cera e da qui viene l'espressione "fare tabula rasa", ovvero "cancellare tutto".
I Romani, così come i Greci, utilizzavano anche il papiro. La tecnica per trasformare questa pianta in fogli risale al 3000 a.C. ad opera degli antichi Egizi: lo stelo di papiro veniva tagliato in strisce e battuto su un piano fino a diventare un foglio. I fogli poi venivano incollati uno dopo l'altro per formare dei rotoli lunghi anche 20 metri che poi venivano arrotolati e per questo erano detti volumen (dal latino volvo, avvolgere): anche in italiano per indicare un libro si può dire "volume".
Un terzo supporto per la scrittura era la pergamena, poco usata perché molto costosa: si trattava di pelle di pecora lavorata e tagliata in fogli che si diffuse dal II secolo a.C. grazie alla città di Pergamo, in Asia Minore. Con la pergamena apparvero anche la rilegatura e i libri della forma che conosciamo ancora oggi. Rispetto al papiro, la pergamena era più resistente: poteva essere scritta su entrambi i lati e l'inchiostro si poteva cancellare più facilmente.
Sulla pergamena e sul papiro si scriveva con il calamus, un bastoncino ottenuto da canne cave al cui interno scorreva l'inchiostro. L'inchiostro, contenuto in calamai detti atramentaria, era un panetto solido simile ai nostri acquarelli e doveva essere diluito con acqua per poter essere utilizzato; era nero o marrone molto scuro (da qui il nome atramentum) e composto da nero fumo, fuliggine ottenuta bruciando legna o altri combustibili come la pece. Per cancellare gli errori si usava una piccola spugna bagnata, chiamata spongia deletilis.
Fonte: Asbi.it