In una villa a Civita Giuliana, appena fuori dalle mura di Pompei, gli archeologi hanno scoperto la stanza da letto di una ragazzina. Come sappiamo chi ci dormiva? Intanto, tutte le pareti erano decorate con splendidi disegni di fiori, inoltre la ragazza ha graffiato il suo nome sul muro: “Mummia”. Attenzione però, è probabile che questo sia il nome della famiglia della ragazza, i Mummii, cioè una specie di cognome. Secondo te i suoi genitori si saranno arrabbiati quando hanno visto il graffito? Probabilmente no, per gli antichi Romani scrivere sulle pareti era abbastanza normale.
Ma perché non ci facciamo accompagnare proprio da Mummia in una passeggiata alla scoperta di questa antica città e di come vivevano i suoi abitanti? (Mummia e Tito sono due personaggi di fantasia che ci siamo inventati, ma tutte le informazioni che trovi in questo articolo sono reali).
«Salve» dice Mummia ("salve" sarebbe una parola latina che significa “ciao”, ed è rimasta identica anche oggi). Guarda incerta il ragazzino che ha davanti: è basso, con i capelli riccissimi e la osserva con aria incuriosita.
«Come ti chiami e da dove vieni?», chiede.
«Sono Tito e vengo dalla Nubia» risponde lui.
Mummia sa che la Nubia si trova vicino all’Egitto, quindi è piuttosto lontana dalla sua città: Pompei.
«Mi sono appena trasferito qui e mi sento un po’ spaesato. Non conosco nessuno» dice Tito.
«Quasi nessuno... adesso conosci me!» esclama decisa Mummia. «Vieni, Tito: ti farò vedere la mia città e vivrai una giornata da vero cittadino romano!».
Prima di tutto, devi sapere che Pompei è circondata da una cinta di mura, con otto porte tutt’intorno per permettere il passaggio. In città c'è anche un luogo molto importante per la società dell'epoca: lo stadio, dove si tenevano i giochi dei gladiatori. A Pompei rimase chiuso per ben dieci anni a causa di una “squalifica” per scontri tra “ultras”.
Ora Mummia e il suo nuovo amico sono in via dell’Abbondanza, una delle più importanti della città, piena di palazzi e botteghe. C’è anche un sacco di traffico... e Tito sta proprio in mezzo alla strada! Mummia lo spinge da un lato: «Fai attenzione ai carri! Meglio camminare sul marciapiedi e attraversare sulle strisce pedonali». Gli fa vedere come saltare sui sassi che uniscono i due lati della via come pietre su un fiume. «Vedi? Le ruote dei carri ci passano in mezzo. E quando piove, tu non ti sporchi la tunica!».
In via dell'Abbondanza si trova una "lavanderia". In realtà, in un’epoca senza lavatrice, i panni venivano lavati da schiavi che li pestavano per ore in vasche piene di pipì umana. Poi venivano sciacquati! Più avanti c'è la bottega del barbitonsore che, oltre a fare la barba, ritoccava anche le sopracciglia, tingeva i capelli e fabbricava parrucche.
Se per caso ti viene fame, puoi fermarti in un termopolio, una sorta di rosticceria. Il cibo “di tutti i giorni” a quel tempo era molto semplice: olive, formaggio, pane e focacce. I Romani amavano una salsa fatta di interiora di pesce chiamata garum (assomiglia alla colatura di alici che si usa ancora nella Costiera Amalfitana).
Da bere acqua o vino, che veniva scaldato e mescolato a miele e spezie. I banchetti invece erano molto più bizzarri, e prevedevano piatti come il fenicottero al forno o il ghiro allo spiedo. Mancavano cibi per noi molto comuni come le patate o i pomodori: sarebbero arrivati dall’America 1.500 anni dopo!
«E questa è casa mia. È appena fuori città, così c’è molto più spazio». Tito guarda ammirato le colonne e la piscina dalla forma quadrangolare, l'impluvium, che raccoglie l’acqua piovana proveniente da un'apertura nel tetto, il compluvium.
Sembra colpito dai tanti schiavi al lavoro. «Sono loro che cucinano, puliscono, badano al riscaldamento, trasportano la lettiga di papà. Si occupano di tutti i compiti più faticosi che servono in casa» esclama Mummia. Tito scuote la testa. «Dev’essere molto brutto fare lo schiavo». Mummia sorride. Pensa che forse ha trovato un nuovo amico.
Qualsiasi fosse la dimensione, la domus romana aveva una pianta rettangolare ed era generalmente costituita da due livelli. In quelle delle famiglie più abbienti si poteva trovare un peristilio, un giardino coltivato con fiori e alberi da frutto.
La domus (nel disegno e nella foto) era la villa di una famiglia ricca come quella di Mummia. Le persone comuni invece vivevano in condomini detti insulae. Al piano terra c’erano le botteghe, sopra gli appartamenti. Gli appartamenti più lussuosi erano al primo piano e diventavano più poveri man mano che si saliva. Ricorda che queste case non avevano il bagno né l’ascensore: pensa che fatica portar su e giù l’acqua per bere o cucinare.
Gli antichi Romani non avevano ancora inventato la scuola, nel senso dell’edificio. Ma a scuola si andava lo stesso: il maestro si sistemava per strada o in una piccola bottega. Gli scolari facevano del loro meglio per stare attenti, perché a ogni errore il maestro era autorizzato a colpirli con una canna. I più piccoli imparavano a leggere e scrivere, dai 12 anni si studiava grammatica e letteratura. Mentre a 16 si imparava la retorica, cioè a parlare in pubblico. Le ragazze smettevano di studiare dopo aver imparato l’abc. E gli schiavi non studiavano affatto perché iniziavano a lavorare fin da bambini.
I computer non erano ancora stati inventati, perciò i giochi erano molto semplici: biglie (spesso erano noci), trottole e aquiloni. E c’erano già le bambole. Gli adulti invece? Il gioco d’azzardo era proibito, ma di nascosto si giocava lo stesso a dadi e andava forte anche il “pari o dispari” e il “testa o croce”. I Romani erano grandi sportivi, praticavano la corsa e la lotta. Invece quasi nessuno sapeva nuotare, perciò alle terme si sguazzava e basta.
Nell’antica Roma gli uomini indossavano una tunica (assomigliava a una t-shirt extralarge e serviva anche da pigiama) e, i nobili, la toga: un drappo di stoffa lungo fino a 6 metri. I ragazzi la portavano bianca con un bordo porpora, le donne invece avevano una tunica molto più lunga e le nobili anche uno scialle chiamato palla, con cui spesso si coprivano la testa.
La biancheria intima era formata da mutande e, per le donne, un reggiseno. Si usava anche in piscina, perciò possiamo dire che i Romani abbiano inventato il bikini! Probabilmente era come nella foto che riprende una parte di un mosaico famoso della Villa del Casale, la residenza estiva di un antico Romano a Piazza Armerina (Enna).
Pompei sorgeva ai piedi di una verde montagna. Nessuno poteva immaginare che, in realtà, fosse un vulcano inattivo da millenni! Purtroppo nel 79 d.C. il Vesuvio si risvegliò e con la sua eruzione seppellì l’intera città. Le ceneri hanno conservato Pompei per migliaia di anni, e oggi gli archeologi possono imparare tantissime cose sulla vita degli antichi Romani come la nostra amica Mummia.
Un terribile boato annunciò l’inizio dell’eruzione, ma la gente, sulle prime, pensò a un terremoto. Poi notò la colonna di fumo che si alzava in cielo per chilometri. Dal cielo caddero le prime pómici e molti abitanti iniziarono a scappare. Quelli che non persero tempo riuscirono a salvarsi la vita!
Alle 13 un’immensa colonna di fumo si alzò dal Vesuvio e arrivò a oscurare il cielo. Dalla nube cominciarono a piovere pómici (sassi di roccia vulcanica) che ricoprirono tutto (la maggior parte degli abitanti morì per il crollo dei tetti delle case). La colonna di fumo collassò in “flussi piroclastici”, detti “nubi ardenti”: valanghe di cenere e gas ad altissima temperatura (fino a 1200 °C). La prima di queste nubi ardenti uccise in un istante gli abitanti di Ercolano. La quarta fece lo stesso con gli ultimi abitanti di Pompei.
Plinio il Giovane scrisse allo storico Tacito raccontando la sua versione dei fatti. Le sue lettere sono l’unica testimonianza diretta di cosa sia successo in quei terribili giorni.
Plinio dice che l’eruzione avvenne “nove giorni prima delle calende di settembre”, e cioè il 24 agosto. Ma noi non possediamo il suo testo originale, soltanto le copie realizzate dagli amanuensi nel Medioevo. E in alcune di queste copie si parla invece di “nove giorni prima delle calende di novembre”, ovvero il 24 ottobre.
Oggi gli scienziati propendono per questa data: infatti in molte case di Pompei, al momento dell’eruzione, erano accesi i “riscaldamenti” e la vendemmia era già stata completata. Probabile quindi che l’eruzione sia avvenuta in autunno.
Credits: l'immagine in apertura è una ricostruzione virtuale 3D del Foro di Pompei by Altair4Multimedia.it