In classe si imparano l’italiano e una o più lingue straniere. In realtà, però, anche senza andare a scuola, la metà degli italiani (circa 30 milioni) conosce e parla già un’altra lingua: il dialetto!
DIALETTO E ITALIANO
Che si tratti di quello campano o di quello ligure, una delle differenze principali del dialetto rispetto all’italiano è che viene perlopiù parlato invece che essere scritto e che si usa soltanto in un’area geografica ristretta.
Per il resto, però, secondo i linguisti (cioè gli esperti che studiano come funziona e si evolve una lingua) i dialetti sono vere e proprie lingue, che non hanno nulla da invidiare a quella ufficiale. Del resto, anche l’italiano che parliamo tutti i giorni, in origine, non era altro che... un dialetto: quello fiorentino usato dalle persone più colte e istruite (e da Dante nella Divina Commedia). Ma allora come ha fatto a diventare la nostra lingua?
LA TV COME UNA PROF
Più di 150 anni fa, dopo l’unificazione d’Italia avvenuta il 17 marzo 1861, la maggior parte degli italiani (circa il 90%)... non parlava italiano! Grazie all’introduzione dell’obbligo scolastico fino ai 9 anni nel 1877, le cose iniziarono lentamente a cambiare e molti cominciarono a usare un mix di dialetto e italiano, soprattutto nelle situazioni “ufficiali”, ad esempio per parlare con medici, preti, funzionari pubblici che spesso venivano da altre regioni.
Ma è solo grazie alla diffusione prima della radio e poi della tv negli anni ’50, che l’italiano ha iniziato a diffondersi e a essere conosciuto e usato da tutti. Tanto che, dagli anni ‘60, quando l’Italia visse il suo boom economico, il dialetto comincio essere considerato come una “lingua di serie B”, che soltanto le persone ignoranti e rozze utilizzavano.
LINGUA "ARMATA"
I motivi per cui una certa lingua, che prima era un dialetto, diventa lingua ufficiale, insomma, sono di tipo economico e sociale. Tra i linguisti, infatti, è molto popolare un detto secondo cui “una lingua è un dialetto con un esercito e una marina militare”; cioè qualcosa che viene imposto dall’alto e, per questo, inizialmente fatica ad essere accettato dalla popolazione, che si sente prevaricata e snaturata.
È questo il caso, solo per fare un esempio, degli abitanti dei Paesi Baschi, una regione della Spagna, che rivendicano con orgoglio da tempo l’uso della propria lingua contrapposta allo spagnolo.
DIALETTI PREISTORICI
Ma, se le lingue ufficiali non sono che dialetti “evoluti”, da dove arrivano invece i dialetti? Secondo la maggior parte dei linguisti, quelli italiani sono a loro volta un’evoluzione, proprio come lo spagnolo, il francese, il portoghese e il romeno, del latino parlato. C’è però anche un’altra teoria molto interessante secondo la quale i dialetti nascerebbero invece molto prima del latino, inteso come lingua scritta: addirittura nel Paleolitico superiore, 40 mila anni fa!
ITALIANO LOCALE
Comunque stiano le cose, di sicuro, rispetto agli anni ‘60, oggi il dialetto è sempre più visto come una risorsa importante, perché racconta la storia e l’anima di un luogo attraverso parole e sfumature che a volte mancano nella lingua ufficiale. E anche se non lo conosci bene è probabile che, senza accorgertene, a volte lo usi. Alcune parole dialettali, infatti, vengono italianizzate da chi le usa.
A Modena, solo per fare un esempio, lo strofinaccio per le mani si chiama burazzo: per un modenese è normale pensare che sia italiano, ma in realtà viene dal dialettale buràz!
DIALETTO INCONSAPEVOLE
Senza accorgerci, spesso usiamo parole ormai comuni in italiano che, però, provengono dai dialetti. A cominciare da... "ciao". È così diffuso, anche all’estero, ma viene dal veneto sciavo, cioè schiavo: era usato per salutare col significato di "servo vostro".
Anche molti termini legati a cibi di una determinata zona hanno, com’è ovvio, origine dialettale: tagliatelle (taiadèli ) e zampone (zampòun) vengono dall’emiliano-romagnolo, mozzarella (diminutivo di mozza) dal campano.
E sono solo pochi esempi. Poi ci sono i cosiddetti “regionalismi” o “dialettalismi”, cioè parole dialettali che, però, vengono usate anche al di fuori della loro zona d’origine. Esempi? Dal napoletano inciucio (accordo sottobanco) e fetecchia (schifezza), dal romanesco abbiocco (sonnolenza improvvisa) e sbroccare (perdere la testa) e in generale tutte quelle che finiscono in -aro (bidonaro, casinaro...), dal genovese besugo (il nome di un pesce usato come sinonimo di stupido e reso popolare dal Gabibbo in tv).