Le usiamo tutti i giorni e non ce ne accorgiamo: sono le figure retoriche, ovvero dei "trucchetti" che usiamo nei nostri discorsi o nei nostri scritti per rendere più efficace (e d'effetto) il messaggio che vogliamo comunicare.
La "figura retorica" è un forma di espressione letteraria il cui scopo è creare un effetto - di significato o anche solo sonoro - all'interno di una frase. Il linguaggio quindi risulta artificiale, quasi forzato, rispetto alla lingua comunemente parlata. Si parla addirittura di deviazione dalla comune espressione.
Ti proponiamo dunque un breve elenco di alcune tra le figure retoriche più usate e conosciute, ma ricordiamo che sono tante e spesso tra loro si differenziano poco e sono facilmente confondibili. Scoprirai che qualcuna di queste figure, senza nemmeno saperlo, già la usi o già l'hai sentita anche tu!
Le figure retoriche possono essere:
Le figure retoriche sono molto usate in letteratura e poesia, ma nulla ti vieta di usarle adeguatamente nei temi, una volta imparate bene.
Inoltre le troviamo anche nei testi delle canzoni (in fondo anche la musica è poesia), in quanto anch'essi, spesso, si servono di questi artifici per arricchire e amplificare il loro significato all'interno della metrica musicale.
Come abbiamo detto le figure retoriche sono accorgimenti stilistici e linguistici usati spessissimo dai poeti per rendere più viva ed efficace una descrizione, un’immagine, una sensazione, una emozione.
Vediamo le figure retoriche in due tra le poesie più amate A Silvia e A Zacinto.
A Silvia è una lirica composta dal poeta Giacomo Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837). In questa lirica il poeta ricorda una ragazza conosciuta nella giovinezza e morta di malattia; tradizionalmente la fanciulla viene identificata con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere della famiglia Leopardi e morta di tisi nel 1818, quando aveva vent’anni.
A Silvia (testo)
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all'opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
Apostrofi: v. 1: “Silvia”; v. 29: “o Silvia mia”; v. 36: “o natura, o natura”; v. 43: “o tenerella”; vv. 54-55: “cara compagna dell’età mia nova, mia lacrimata speme”; v. 61: “tu misera”.
Allitterazioni: ricorre la sillaba “vi”, che è presente anche nel nome “Silvia”: “vita” (v. 2), “fuggitivi” (v. 4), “salivi” (v. 6), “sedevi” (v. 11), “avevi” (v. 12), “solevi” (v. 13), “soavi” (v. 28), “perivi” (v. 42), “vedevi” (v. 42), “schivi” (v. 46), “festivi” (v. 47), “mostravi” (v. 63);
Lettere: “T” “tempo-“tua-vi“ta-mor“tale”(v. 2) “L” “que“l-de“lla-morta“le”, “allorchè-all’-femminili” (v. 10) “M” e “N”: “e quinci il mar da lungi e quindi il monte” (v. 25) “V”: “vago-avvenir-avevi” (v. 12)
Enjambements: “sonavan le quiete / stanze” (vv. 7-8); “peria fra poco / la speranza mia dolce” (vv. 49-50); “negaro i fati / la giovanezza” (vv. 52-53); “questi / i diletti” (vv. 56-57); “la fredda morte ed una tomba ignuda / mostravi” (vv. 62-63)
Chiasmi: “io gli studi leggiadri… e le sudate carte” (vv. 15-16); “fredda morte, tomba ignuda (v. 62)”
Metonimie: “sudate carte” (v. 16); “faticosa tela” (v. 22); “lingua mortal” (v. 27);
Iperbati: “ove il tempo mio primo / e di me si spendea la miglior parte” (vv. 17-18); “agli anni miei anche negaro i fati / la giovanezza” (vv. 51-52)
Climax: “che pensieri soavi, che speranze, che cori…” (vv. 28-29)
Ossimoro: “lieta e pensosa” (v. 5)
Epifrasi: “io gli studi leggiadri / talor lasciando e le sudate carte” (vv. 15-16)
Zeugma: “porgea gli orecchi al suon della tua voce / e alla man veloce” (vv. 20-21)
Anagramma: “Silvia…salivi” (vv. 1 e 6)
Metafora: “il limitare di gioventù” (v. 5); “il fior degli anni tuoi” (v. 43)
Parallelismo: “e quinci il mar da lungi, e quindi il monte” (v. 25)
Geminatio (ripetizione): “o natura, o natura” (v. 36); “come, / come passata sei..” (v. 53)
Anafore: “Che pensieri soavi, / Che speranze, Che cori” (vv. 28-29); “perché non rendi poi…./ perché di tanto…” (vv. 38-39); “questo è quel mondo? Questi / i diletti… / Questa la sorte…” (vv. 56-59)
A Zacinto è una poesia composta da Ugo Foscolo (Zante, 1778 - Turnham Green, 1827), uno dei più importanti poeti della letteratura italiana. Nato nell'isola greca di Zante (Zacinto), fu costretto a lasciare la sua terra natale. Questo esilio forzato dalle sue origini, nonostante considerasse l'Italia la sua madrepatria, segnò profondamente la sua vita e la sua opera. Temi principali delle sue poesie furono la patria, la bellezza, l'amore, la vita e le nobili imprese, grazie alle quali lasciare un segno indelebile.
A Zacinto
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
Nella poesia A Zacinto sono presenti molte figure retoriche, guardiamole insieme:
Allitterazione: “sacre sponde” v.1; “materna mia” v. 13; “Venere vergine” vv 4 e 5
Sineddoche: dove “fronde” v. 7,
Iperbato: “illacrimata sepoltura” v. 14
Metafora: “sacre” v.1 (sta a indicare la patria di Foscolo).
Antitesi: “fanciulletto giacque”, v. 2
Enjambement: nei versi 1,3,13.