L’uomo ha ampiamente diffuso sulla Terra materiali non presenti in natura, come la plastica, ottenuta dalla lavorazione del petrolio o da altri combustibili fossili. Le sue caratteristiche di versatilità e resistenza ne hanno contribuito la diffusione.
Al di la delle varie tipologie esistenti, si è passati dai 2 milioni di tonnellate prodotte nel 1950 agli oltre 400 milioni di tonnellate nel 2015. Considerando che solo una piccola parte viene attualmente riciclata, quella della plastica è diventata una vera “crisi planetaria“.
Il 90% della plastica che raggiunge il mare è trasportata da appena dieci fiumi. Di questi, solo due scorrono in Africa (Nilo e Niger) mentre i rimanenti sono asiatici, tra cui i cinesi: fiume Azzurro e fiume Giallo. A causa delle correnti marine, la plastica viene trasportata a largo formando vere e proprie "sole di plastica", la più grande localizzata nel Pacifico settentrionale, la cui dimensione è due volte la superficie dell’Italia.
Continuando così, nel 2050, nell’oceano nuoteranno più bottiglie che pesci, come riportato in un rapporto pubblicato nel 2016 dalla fondazione Ellen MacArthur.
UN'EPOCA USA E GETTA
Sebbene l’inquinamento più eclatante sia dovuto a oggetti voluminosi, che fluttuano, intrappolano e soffocano gli organismi marini, quello più silenzioso è causato dalle microplastiche, particelle di dimensioni inferiori ai 5 mm, liberate dalla plastica in seguito all’esposizione al sole. Scambiate per cibo e ingerite da pesci, molluschi e crostacei, si accumulano nella loro carne, entrando e magnificandosi in ogni anello della catena alimentare.
Nel 2017, un gruppo di ricercatori ha pubblicato uno studio sugli effetti devastanti delle microplastiche sui geni, cellule e tessuti degli organismi marini. Inoltre è stato dimostrato come queste ne abbassino il tasso riproduttivo e ne causino la morte.
Pensare a un mondo senza plastica sembrerebbe una vera utopia! In realtà, è incrementata la consapevolezza sull’importanza della tutela dell’ambiente e molti Paesi hanno cominciato a promuovere politiche ecosostenibili, dando segnali incoraggianti, volti a migliorare la salute dei nostri mari. Il primo e forte segnale è venuto dalla campagna “Clean Seas” promossa nel 2017 dal Comitato delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di ridurre gli imballaggi dei prodotti, incentivare il riciclo della plastica e sensibilizzare le persone a modificare le proprie abitudini consumistiche. Inoltre, sempre di più sono le aziende che stanno investendo in plastiche alternative “bio” anche in vista del provvedimento legislativo che vieterà dal 2021, in tutti i Paesi dell’Unione Europea, le plastiche monouso.
COS'È LA BIOPLASTICA? PRO E CONTRO
La bioplastica si può ottenere da diverse materie prime come: biomasse, fibra di legno, canapa, lino, bambù, oli vegetali, amido di mais, barbabietola da zucchero, alghe, ecc.; dando vita a una varietà plastiche bio come il BioPET e sostenendo così un’economia circolare, che è definita dalla fondazione Ellen MacArthur come: "un’economia pensata per potersi rigenerare da sola”.
Di sotto sono riportati i pro e i contro sull’utilizzo della bioplastica.
Le motivazioni a sostegno dell’uso di bioplastiche sono molte. Per quanto riguarda i problemi legati al loro utilizzo, sono tutti risolvibili.
I costi di produzione della bioplastica potrebbero essere abbattuti sfruttando questa tecnologia su larga scala. Il problema dell’inquinamento derivato dal trasporto, potrebbe essere risolto creando nuove industrie di bioplastiche nelle vicinanze di aziende agroalimentari e investendo di più in mezzi di trasporto meno inquinanti o non inquinanti, come quelli elettrici. Per scongiurare il rischio di compromettere la scarsezza di cibo, basterebbe destinare gli innumerevoli scarti delle filiere agroalimentari alla produzione di plastica “bio”.
Attualmente la bioplastica è utilizzata da alcuni designer per creare oggetti d’arredo derivati dall’amido di mais, per creare fibre tessili, scarpe e giochi dai gusci di coleotteri. Una nota industria di giocattoli, la Lego®, ha stabilito come obiettivo, quello di creare tutti i pezzi dei suoi giochi in bioplastica, entro il 2030.
Molte sono le aspettative e molto resta ancora da fare.
LA SPERANZA DEGLI ENZIMI MANGIA-PLASTICA
Nel 2018, la scoperta di batteri che digeriscono e si nutrono di plastica PET, accelerandone la biodegradazione in pochissimo tempo, ha catturato l’attenzione dei mass media. La degradazione avviene grazie a delle proteine (enzimi) che agiscono da “forbici molecolari”, in grado di scomporre le molecole PET nei composti di partenza, avviandoli al riciclo.
L’università di Greifswald e il centro Helmholtz di Berlino, hanno reso nota quest’anno la struttura 3D dell’enzima responsabile della degradazione della plastica PET riuscendo a produrlo in laboratorio.
Prossimo passo sarà quello di crearne di più efficaci e in maggiori quantità, aiutandoci a salvare il nostro Pianeta dall’annegamento in un mare di plastica!