C’è un solo altro pianeta, oltre alla Terra, sul quale abbiamo inviato a circolare robot su ruote: è Marte, il nostro “vicino di casa” spaziale, se vicino si può chiamare un corpo celeste che dista in media 228 milioni di chilometri da noi.
Il Pianeta Rosso, così soprannominato per la grande quantità di ossido di ferro sulla sua superficie, che gli conferisce quel caratteristico colore riconoscibile ad occhio nudo nel cielo notturno, è oggi un deserto freddo e inospitale, con un’atmosfera sottile e irrespirabile, temperature che rendono impossibile la sopravvivenza e fenomeni meteo più violenti di tornado e trombe d’aria terrestri.
Come può un luogo così poco accogliente suscitare tanto interesse?
Tanto per cominciare, per alcune somiglianze con il nostro Pianeta, di cui Marte può dirsi “fratello”, nel Sistema Solare.
Come la Terra, Marte ha cicli stagionali, calotte polari ghiacciate, canyon e solchi superficiali che indicano l’antica presenza d’acqua (qui puoi esplorare la sua superficie). Si pensa che 4 miliardi fa, quando il Pianeta Rosso era ancora giovane, fosse bagnato fiumi e laghi non molto diversi da quelli terrestri. Il rover della Nasa Curiosity, un robottino grande come un SUV che lavora su Marte dal 2012, ha scoperto rocce che testimoniano un passato d’acqua all’interno del cratere Gale, il suo sito di atterraggio, che un tempo doveva essere un lago marziano che si riempì e si seccò più volte, un po’ come accade sul nostro pianeta. In generale alcuni tipi di minerali e di sedimenti trovati su Marte possono essersi formati soltanto in presenza di acqua liquida.
Si pensa però che l’atmosfera estremamente tenue del Pianeta Rosso, povera di ossigeno e ricca di anidride carbonica, e con una pressione pari ad appena l’1% dell’aria che respiriamo, abbia avuto un ruolo nella scomparsa di quest’acqua, che Marte non sarebbe riuscito a “trattenere”. Oggi c’è ancora acqua su Marte, ma non in forme immediatamente disponibili.
L’acqua marziana è oggi presente come ghiaccio sotto alle regioni polari, dove la sonda dell’Agenzia Spaziale Europea Mars Express Orbiter ha anche individuato un grande lago di acqua liquida. Altre tracce d’acqua liquida e salata sembrano ricollegabili alle strisce di terra bagnata che un’altra sonda, il Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) della NASA, ha fotografato dall’alto sui bordi dei crateri marziani: si pensa che l’acqua affiori dal sottosuolo ed evapori non appena in superficie (se non ghiaccia ai - 40 gradi °C medi marziani è perché i sali che contiene ne abbassano il punto di congelamento).
Si pensa che il passato “umido” di Marte abbia consentito, almeno per qualche centinaio di milioni di anni, le condizioni base per la vita, e di questa stiamo cercando traccia, con gli strumenti scientifici che abbiamo spedito nell’orbita e sulla superficie del Pianeta Rosso. Non immaginatevi però i marziani dei film: se vita trovassimo, si tratterebbe probabilmente di microbi in grado di sopportare temperature critiche e carenza di ossigeno, rifugiati, magari, sotto la superficie: in alcuni deserti terrestri dove piove una volta ogni 10 anni i batteri riescono a sopravvivere, e qualcosa di simile potrebbe forse avvenire su Marte.
Gli scienziati vogliono quindi scoprire se Marte abbia ospitato forme di vita in passato, e se ne possa ospitare in futuro.
Trovare tracce di vita biologica e studiare l’abitabilità di Marte saranno gli obiettivi scientifici di una delle prossime missioni su Marte, Mars2020, della NASA.
Il 26 novembre 2018 è atterrato invece su Marte InSight, un lander (cioè un robot “statico”, che non si sposta sulla superficie) che si metterà in ascolto del cuore più interno del Pianeta Rosso, per scoprire se anche su di esso ci siano terremoti. Negli ultimi giorni, InSight ha stupito il mondo registrando il suono del vento marziano: ascoltalo qui.
Anche l’Agenzia Spaziale Europea invierà un rover su Marte, nel 2020: la missione che prende il nome di ExoMars ha già spedito un “naso” robotico in orbita marziana, la sonda TGO (Trace Gas Orbiter) per l’analisi dei gas atmosferici. Di attivo su Marte, fino a poco tempo fa, c’era anche il rover Opportunity, che è stato però zittito da una violenta tempesta di sabbia, un evento comune laggiù, lasciando il solo Perseverance, arrivato su Marte nel febbraio 2021 a raccogliere dati sul Pianeta Rosso.
Come si vede, si tratta di missioni esclusivamente robotiche. Arrivare su Marte con missioni umane prevede una serie di ostacoli tecnologici importanti, a partire dal motore e dal propellente, continuando con un viaggio estenuante di almeno sei mesi, un atterraggio “impossibile” in un’atmosfera in cui anche i mezzi più leggeri faticano a frenare senza contare - sempre che si arrivi - tutti i problemi relativi alla sopravvivenza: dovremmo imparare a produrre sul posto ossigeno e cibo, e ad estrarre acqua, perché le scorte prima o poi finiranno; ma anche a produrre carburante, se prima o poi vorremo tornare indietro, e a proteggerci dalle radiazioni cui saremmo sottoposti al di fuori della magnetosfera terrestre, una specie di “scudo” che ci protegge dalle particelle cariche di di vento solare.
Finora, chi ha presentato un piano più preciso (ma estremamente ambizioso) per arrivarci è Elon Musk, “papà” della compagnia privata spaziale SpaceX: contava di provarci nel 2024, utilizzando un colossale razzo potente come 400 grossi aerei di linea, e una navicella che compia vari “pit-stop” carburante nel tragitto, ma ora i tempi potrebbero essere un po' più lunghi.
Chissà se in futuro diventeremo una specie interplanetaria...