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FocusJunior.itScienzaCuriosità scientifichePerché i cibi che sembrano più buoni fanno male?

Perché i cibi che sembrano più buoni fanno male?

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Perché le "schifezze" che tanto ci piacciono quasi sempre sono anche quelle meno sane? Proviamo a trovare una risposta!

Quali sono i cibi "più buoni"? Dipende da cosa si intende per “buoni”: i gusti, infatti, sono soggettivi, ma questo non c'entra con la "bontà" intesa come qualità benefica per il nostro organismo. È indiscutibile infatti che alcuni alimenti che non facciano molto bene alla salute...Ma questo non toglie il fatto che quasi sempre siano molto gustosi!

Come mai dunque quello che ci fa male, molto spesso, è anche quello che ci piace di più?

CERVELLO "GOLOSO"

Una ricerca dello Scripps Research Institute di Jupiter, in California (Usa), ha dimostrato che i cibi molto calorici, grassi o dolcissimi (il cosiddetto “cibo spazzatura” tipico ad esempio dei fast food), danno una dipendenza simile a quella delle droghe, interferendo con un recettore della dopamina (sostanza legata al piacere e alla soddisfazione) nel nostro cervello. Perciò, anche se sappiamo benissimo di mangiare "schifezze", non possiamo fare a meno di volerne ancora!

Inoltre, molte aziende alimentari aggiungono additivi, cioè sostanze che rendono il cibo più gustoso. Essendo gli additivi sempre gli stessi, finisce che molti cibi hanno lo stesso sapore. Così, quando invece proviamo un cibo senza additivi ci sembra diverso e magari meno buono. Anche se non è così e, anzi, magari è pure più sano.

Secondo alcune teorie vi sarebbe poi è poi una componente evolutiva. Millenni fa, quando Homo Sapiens iniziava a cacciare e a raccogliere cibo, i nostri antenati svilupparono una preferenza alimentare nei confronti di quegli alimenti che erano in grado di dar loro più energia: questo spiegherebbe perché amiamo i dolci (carichi di zucchero) e i piatti saporiti (il sale era principale fonte di sodio, elemento importante per il mantenimento dell'equilibrio chimico del nostro corpo).

Collaborazione al testo di Niccolò De Rosa

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