Tra le molte località (ben 230) coinvolte nel progetto della Settimana del Pianeta Terra, la miniera sopra il comune di Brusson in Val d'Aosta è un perfetto esempio di valorizzazione del patrimonio geologico italiano.
La Miniera di Chamousira
La miniera di Chamousira prende il nome dal francese "chamois", camoscio, e proprio come l'animale da cui prende nome, si trova ad altezze notevoli, tra i 1552 e i 1716 metri sopra il livello del mare, sovrastando la Val d'Ayas.
Il giacimento interessato dagli scavi risale a 31 milioni di anni fa, quando all'interno della roccia metamorfica si formarono due filoni auriferi che, molto tempo dopo, i cercatori d'oro ribattezzeranno Fenillaz e Speranza.
La coltivazione dell'oro (già, l'oro "si coltiva!) cominciò nel 1899 con la svizzera Société des Mines de l'Evançon che ottenne il permesso di ricerca aurifera sulla rupe di Chamousira.
È con inglesi della Evançon Golden Mining Company però che la miniera raggiunse i massimi livelli di produttività, arrivando ad impiegare anche 90 minatori nel primo decennio del '900. Il punto più alto venne toccato nel 1906, ma già dall'anno dopo la redditività dell'azienda cominciò a diminuire sensibilmente e nel 1911 l'attività di estrazione cessò del tutto.
Nel 1937 la coltivazione dei filoni riprese grazie al cavalier Rivetti, anche se con ambizioni e dimensioni molto ridotte e si interruppe definitivamente nel 1949.
Dal 1953 al 1983 il lavoro intorno alla miniera fu affare della famiglia Filippa (prima il padre e poi il figlio), ma il carattere economico della ricerca era marginale rispetto alla passione per il territorio o all'interesse scientifico.
Un tesoro geologico
Il sito di Brusson rientra in una zona mineraria molto preziosa per la Val d'Aosta e per l'Italia. Il valore del territorio però, non è dato dal profitto ricavato da ciò che si estrae, ma dall'interesse scientifico per la conformazione geologica dell'intera area!
L'oro di Chamousira infatti, oltre all'indiscutibile valore economico, assume particolare rilevanza perché è uno dei pochi metalli di origine nativa d'Italia.
Che cos'è l'oro nativo? È l'oro che si trova all'interno di filoni di quarzo presenti nella roccia, dunque estraibili e non ricavabili dai sedimenti fluviali (come le pepite del Klondike di zio Paperone!).
Un esempio di oro nativo lo si può vedere a qualche chilometro dalla miniera, al Museo delle Alpi del Forte di Bard. Qui è esposto un campione di quarzo bianco sul quale è ben visibile la presenza di residui auriferi.
In realtà però, l'oro non appare così in natura, ma è stato trattato con un'amalgama di mercurio per farlo risaltare agli occhi dei non addetti ai lavori.
Oggi questo tesoro geologico può tornare ad essere valorizzato grazie alla volontà della Regione Val d'Aosta e ad iniziative come la Settimana del Pianeta Terra che attirano l'attenzione del grande pubblico sulle meraviglie della natura, troppo spesso trascurate.
Ora i turisti (e gli studenti) possono infatti riscoprire le perle della montagna a due passi da casa esplorando il tunnel di 126 metri del livello minerario aperto al pubblico (il settimo), addentrandosi nel cunicolo illuminato fiocamente come agli inizi del 'Novecento e ammirando i giacimenti quarzosi del filone Speranza.