Quando un temporale colpisce un territorio con particolare violenza, spesso sentiamo parlare di "bomba d'acqua", un termine decisamente evocativo che però non è granché preciso dal punto di vista scientifico. Tale espressione infatti viene usata nel linguaggio comune per definire un nubifragio che provoca gravi danni alla popolazione, talvolta scatenando alluvioni vere e proprie.
Come già accennato, le bombe non c'entrano nulla con il fenomeno descritto. Un nubifragio - questo il termine corretto - è infatti una perturbazione atmosferica durante la quale in poco tempo cade tantissima pioggia, con un'intensità e una violenza tale da arrecare danni a cose o persone.
Infatti, quando in poche ore precipitano al suolo troppi millimetri d'acqua (es: 30-50 mm d'acqua all'ora), la terra non è in grado di assorbirla e i fiumi s'ingrossano troppo rapidamente. Risultato? I fiumi esondando, cioè escono dai loro argini, e li luoghi dove l'acqua si accumula (conche, valli, strade ecc..) si allagano completamente.
Mentre nubifragi e alluvioni sono termini corretti ma piuttosto generici, esistono definizioni più precise che fotografano meglio ogni situazione. Nel caso delle cosiddette "bombe d'acqua", spesso si dovrebbe parlare invece di temporali di calore o temporali autorigeneranti. Esistono poi le trombe d'aria, i tifoni egli uragani, ma questa è un'altra storia ancora. (Leggi qui per saperne di più).
La definizione scientifica è cluster multicellulare con rigenerazione sopravvento. In pratica si tratta di un temporale che non perde forza o intensità per molto tempo perché si "auto-rigenera" traendo energia dal contrasto tra una massa d'aria calda e umida e una massa d'aria più fredda, solitamente collocata ad alta quota.
Tale scontro di masse d'aria viene dunque "risucchiato" dalla perturbazione, innescando un ciclo per cui il vapore acque presente nelle nubi torna a raffreddarsi molto velocemente, continuando a produrre quell'acqua che poi viene riservata a terra.
I temporali autorigeneranti di solito sono più frequenti nelle zone costiere (come ad esempio è successo nella notte del 15 settembre 2022 nelle Marche, nella zona di Senigallia) perché il mare agisce come una specie di "serbatoio" di aria umida e calda per la tempesta.
Nei casi peggiori poi, l'assenza di venti non sposta la perturbazione e dunque tutta la forza del nubifragio si scatena per ore sulla stessa zona, spesso provocando vere catastrofi.
Temporali e "bombe d'acqua" ci sono sempre stati, ma stanno diventando sempre più frequenti in zone di solito non abituate a fenomeni del genere. Il clima impazzito infatti sta alterando gli equilibri dei vari ecosistemi e la maggior violenza di simili tempeste è solo una conseguenza. I temporali autorigeneranti appena descritti, ad esempio, diventano più comuni proprio perché è più facile che si verifichino quelle condizioni di aria calda e umida che poi innescano la perturbazione.
Da notare poi il nesso con la siccità. In Italia, ad esempio, questa estate abbiamo vissuto una lunga siccità, il che ha impoverito il terreno che dunque ha perso molta capacità d'assorbimento, il che facilita molto le alluvioni (ne parliamo approfonditamente nel pezzo: Perché la siccità aumenta il rischio di inondazioni?)
FONTI: Meteo.it; Geomagazine; Focus.it