Gli esperti lo dicono da settimane, ma ora la scienza pare aver emesso il suo verdetto definitivo: SARS-CoV-2, il coronavirus che sta causando la pandemia COVID-19, non è stato creato in laboratorio, ma è frutto di una naturale evoluzione.
A dirlo è lo studio pubblicato il 17 marzo su Nature Medicine da un team dello Scripps Research Institute (California), il quale ha analizzato il genoma del virus - ossia il complesso di geni che formano la cellula - e ha sciolto i restanti dubbi circa l'origine di questo agente patogeno.
SFUMATA LA TEORIA DEL COMPLOTTO
Come già accennato, sin dalle prime settimane gli scienziati si erano detti scettici riguardo l'ipotesi, ripresa anche da alcuni importanti organi d'informazione, che voleva il coronavirus come un microrganismo creato artificialmente e sfuggito da qualche laboratorio per poi finire ad innescare l'epidemia nella città cinese di Wuhan. La conferma definitiva però è arrivata solo poche ore fa grazie al lavoro dell'equipe coordinata dall'immunologo Kristian Andersen.
Andersen e il suo tema hanno infatti studiato a fondo il corredo genetico del coronavirus, prestando particolare attenzione alla sua struttura molecolare e alle spike-protein, ossia quegli "spuntoni" che formano la caratteristica corona del microrganismo e che sono tra i principali responsabili della sua virulenza, cioè l'aggressività con la quale attacca l'organismo ospite.
I RISULTATI
In questo modo si è potuto osservare due aspetti fondamentali.
Il primo consiste nel fatto che queste famose protuberanze del virus sono talmente aderenti alle cellule che aggrediscono che sembra alquanto improbabile una sua costruzione ad hoc in laboratorio.
«La parte del coronavirus che si deve "attaccare" al recettore delle cellule del polmone è così precisa che sarebbe difficile crearla con l'ingegneria genetica» ci ha spiegato Roberta Villa*, medico e giornalista scientifica che in queste settimane è molto attiva nel campo della buona informazione riguardo l'emergenza COVID-19.
Il secondo invece riguarda proprio la backbone, la struttura delle molecole che formano il virus: se qualcuno avesse voluto ricreare un nuovo coronavirus, sicuramente sarebbe partito dalla base molecolare di altri virus conosciuti per provocare certe malattie. La backbone di SARS-CoV-2 invece, presente sostanziali differenze rispetto ai coronavirus già studiati e somiglia di più ai tipi di virus trovati nei pipistrelli e nei pangolini.
«A questo punto si possono ipotizzare due scenari - ha commentato ancora Roberta Villa riassumendo i risultati della ricerca - o il virus è diventato così aggressivo nel pipistrello e dal pipistrello è passato direttamente agli esseri umani, oppure è sempre aperta la possibilità che ci sia stato un ospite intermedio, magari il pangolino, e poi si sia trasmesso agli esseri umani acquisendo la capacità di diffondersi da individuo a individuo».
Insomma, si è semplicemente dimostrato ciò che si pensava già dalle prime analisi e dall'andamento dell'epidemia, ma ora è stata messa la parola fine alla questione. Con buona pace dei complottisti.
*Roberta Villa è una giornalista laureata in medicina e chirurgia, assegnista di ricerca per l’Università Ca’ Foscari di Venezia e collaboratrice del progetto europeo QUEST per la comunicazione della scienza in Europa.