È di questi giorni la notizia della scoperta di una nuova specie di dinosauro, anzi, un dinosauro uccello!
A rendere pubblico il fatto è stato un team di paleontologi, composto da ricercatori dell’Accademia Cinese delle Scienze (Cas), coordinato da Jingmai O’Connor, e altri studiosi del Museo di Storia Naturale di Los Angeles, diretto da Luis Chiappe.
DINOSAURO-UCCELLO
Gli studiosi raccontano di essersi trovati ad analizzare a un esemplare straordinario. O, come dice un membro del team di ricercatori, «il fossile più strano» su cui abbia mai lavorato: un pezzo di ambra contenente niente-di-meno-che il cranio di un dinosauro... di dimensioni microscopiche: 7,1 millimetri!
Il fossile di ambra analizzato risale a circa 99 milioni di anni fa e, oltre a insetti e fili d'erba, contiene anche il teschio di questo particolare uccello. Lo studio è stato pubblicato studio sulla rivista scientifica Nature.
CHE DENTONI QUEST'UCCELLINO
Si è giunti a questa conclusione perché studiando le caratteristiche del cranio si suppone che l'uccellino fosse un predatore che cacciava insetti. Infatti, la nuova specie è stata chiamata Oculudentavis khaungraae, un nome che mette in risalto le sue caratteristiche: grandi occhi e una bocca piena di denti. Ciò sembra suggerire che, nonostante le sue dimensioni ridotte, l'Oculudentavis khaungraae fosse un predatore che mangiava insetti.
Il professor Jingmai O’Connor, infatti, commenta: «non avevo mai osservato nulla del genere. Di solito, quando pensiamo a un dinosauro, immaginiamo enormi scheletri, ma le ultime scoperte dei paleontologi stanno cambiando questa visione. Siamo all’inizio della storia di questa specie, che potrà raccontarci molto sull’evoluzione degli uccelli e dei dinosauri».
«L’ambra – continua lo studioso – è come una finestra che ci fa affacciare su tempi perduti. Penso che nel giro di una decina di anni avremo le tecnologie necessarie a studiare più in dettaglio il fossile a partire dalla biochimica dei tessuti. Ogni singolo fossile può contribuire alla nostra comprensione della storia della vita sulla Terra». conclude O’Connor.