Simpatica, spontanea, di talento. Sono le caratteristiche che mi colpiscono di più quando incontro Rosanna Tizzano. «È perché sono una ragazzona di 28 anni estroversa, allegra, a cui piace fare tutto. Sono sempre in giro come una trottola». E la sua parlantina la fa sembrare un vero vulcano, come il suo Vesuvio (lei è di Napoli!).
Classe 1994, gioca nel Valsugana Rugby Padova con il ruolo di pilone destro «Che è il ruolo più bello del mondo» precisa. Figlia d’arte, suo padre è Davide Tizzano, due volte campione di canottaggio alle Olimpiadi di Seoul ‘88 e Atlanta ’96, nonché direttore del Centro di Preparazione Olimpica di Formia. «Se non mi fossi trasferita in Veneto non avrei mai vinto lo scudetto». Un attimo, andiamo con ordine.
Come ti sei avvicinata al rugby, uno sport che ancora oggi è considerato “da maschi”?
«Per anni ho praticato il canottaggio, come mio padre, poi mi sono annoiata e volevo cambiare. A quell’epoca ero fidanzata con un rugbista e mi sono avvicinata al suo sport... Poi l’amore con lui è finito, quello con il rugby no, anzi, e ho seguito la mia passione mettendomi in gioco. Assieme ad altre ragazze ho fondato la prima squadra napoletana di rugby femminile».
E... come è andata?
«Ci siamo presentate in 33 amiche da Dino Borsa, che allenava la squadra maschile dell’Amatori Napoli, e gli abbiamo chiesto se poteva occuparsi anche di noi. Ha detto di sì. Anche se all’inizio perdavamo quasi ogni partita, non riuscivano a sbatterci fuori dal torneo... Ed è iniziata la mia sfida personale: vincere sempre».
Che consiglio daresti a una ragazzina che vuole diventare rugbista?
«Di seguire i propri sogni senza preoccuparsi di quello che possono dire gli altri. Se giocare a rugby la rende felice, che cos’è più importante? Questo o il parere della gente? Quando io ho iniziato la mia mamma era preoccupatissima, poi ha capito che questo sport mi emozionava e mi ha appoggiata fino in fondo».
Raccontaci la tua giornata tipo...
«In Italia il rugby femminile non dà contratti e stipendi, quindi la maggior parte delle atlete, come me, deve incastrare lo sport con il lavoro. Io mi alleno dalle 15 alle 20 ore settimanali: tre volte in campo, tre o quattro volte in palestra e due sedute di atletica leggera».
Che rapporto si crea tra compagne di squadra?
«Stiamo molte ore insieme tra allenamenti e partite, quindi c’è un rapporto basatato sulla stima e la fiducia, ma con alcune si instaura un’amicizia più forte che va oltre la squadra».
Qual è il clima prima della partita?
«Ci sono tre fasi. Quella del silenzio “sacro” dove nessuno parla. Quella in cui l’allenatore ci incita a mettercela tutta e, infine, il momento “discoteca”con la musica a tutto volume. Abbiamo una playlist di canzoni che devono essere ascoltate in momenti specifici. Un rituale. Una canzone di Raffaella Carrà ci carica moltissimo».
Puoi dirci come si intitola?
«Rumore. In quel momento iniziamo a far rumore con i tacchetti di ferro nello spogliatoio. È emozionante e ci carica. Lo sogno la notte quando non gioco».