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Come si trasformano le radici in meravigliose sculture?

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Come si trasformano le radici in meravigliose sculture?
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Nei boschi non c’è solo quello che si vede. Sottoterra ci sono segreti e meraviglie tutte da scoprire... e da trasformare in Arte. Uno scultore di radici ci ha raccontato la sua bellissima storia

Quando cammini in una foresta, in un vecchio giardino o lungo una strada, non stare solo con il naso all’insù, e non pensare che la bellezza sia solo quella degli alberi carichi di foglie. A volte si nasconde sottoterra, e bisogna saperla trovare. Come fa Luca Zozi, uno scultore di Torino che salva e trasforma in arte vecchie radici. Nelle sue mani diventano creature fantastiche, grovigli di legno lucido che paiono sopravvissuti a un naufragio. «Non chiamatemi scultore» dice lui «sono un semplice cercatore, uno che vorrebbe essere un albero: saprei fare del cielo il mio tetto ed essere casa per mille ospiti, viaggiare nelle stagioni senza spostarmi e crescere senza scompormi».

Luca ha scoperto la sua vocazione a furia di camminare: prima fabbricava bellissime scatole di legno che faceva fatica vendere, poi gioielli, che vendeva ma non gli davano soddisfazione come scolpire. E alla fine ha cominciato a fermarsi, scavare. E trovare radici.

Natura e Arte

Il lavoro di Luca è un unico, fatto di attenzione, cura e talento. Sottoterra Luca cerca forme irripetibili, e quando ne trova una sa già che è unica, perché ogni albero è diverso dagli altri e così ogni impianto radicale (cioè l’insieme delle radici di una pianta). «L’idea non è mai mia: è del legno. Il mio compito è accorgermene e levare il superfluo: piccoli rametti, la corteccia ruvida, nient’altro».

Ma per farlo servono ore e ore di lavoro, senza poter sbagliare nemmeno un piccolo movimento. Anche perché lui ha scelto di lavorare il bosso, quell’albero cespuglioso con tante foglioline verdi, di tante siepi dei vecchi giardini. Il bosso è uno dei pochi legni che non galleggia ed è diventato un albero raro dopo che, nel 2010, un parassita arrivato dall’Asia, la piralide, ne ha uccisi moltissimi. È un legno duro, resistente, facile a graffiarsi. «Ma anche molto generoso», dice Luca, «e ti ripaga di tutto il lavoro che ci metti» . Nel bosso sono intagliate molte splendide pedine degli scacchi o certe scatole di antiche bussole. E ciò che si impara da lui è l’arte di osservare. Significa allenarsi a guardare con uno scopo preciso, e senza fretta. «Se so osservare lo devo a mio padre, un fisico teorico che ama scolpire teste nel legno. È grazie a lui se ho iniziato a fare questo lavoro, e sto cercando di insegnarlo a mio figlio Lodovico. Bisogna imparare a guardare e a non aver paura, nemmeno di farsi male con gli attrezzi».

Un mestiere da artigiano

Gli strumenti di Luca stanno in una valigetta e nessuno è elettrico, «perché fanno rumore e nel rumore sento solo il rumore». Seghe e lime di diverse dimensioni, una sega giapponese (è l’unica che taglia al contrario, quando la spingi, anziché quando la tiri) e carte abrasive: quella più mordace serve a grattare le imperfezioni più vistose; le altre, via via più leggere, per i passaggi di fino.

Ogni porzione di legno va passata e ripassata centinaia di volte, quindi i suoi attrezzi fondamentali sono le mani, che pare pensino da sole, e il tempo. «Se lavori con le mani sei libero. Se lavori con le macchine, un po’ diventi macchina anche tu». È questo che insegna Luca quando va a parlare ai ragazzi delle scuole, o quando, nel suo laboratorio, fa uno dei suoi corsi per cercatori di meraviglie.

Le fasi del lavoro

Il lavoro di Luca è diviso in quattro fasi: la prima è quella di trovare un albero di bosso già morto nei boschi, lungo i cimiteri o in vecchi giardini. Non uccide nessuna pianta, non le compra su Internet, non è complice del disboscamento. Se i proprietari glielo permettono scava per due o tre giorni un buco considerevole, prima con strumenti grossolani, poi più precisi, come un archeologo, per estrarre il maggior numero di radici e lasciarle integre il più possibile.

Le porta nel suo laboratorio di San Salvario, le lava con cura e le guarda, ruota, osserva. Dove è necessario taglia e non appena vede una forma leviga via corteccia e imperfezioni e a mano, piano piano una scaglia per volta, lascia il legno lucido.

«Sono preciso e maniacale e a volte, lavorando i punti dove la corteccia è più contorta e misteriosa, la mia testa va lontana, le dita corrono per conto loro e io mi sento improvvisamente libero, mi sento come un albero». Il legno è capace di immensa grazia e meravigliose danze, di sorprendenti torsioni e intrecci, ma anche di conservare la sua storia e Luca lo dimostra.

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