Nella metà di settembre l’estate di Teheran non è ancora giunta al termine, il sole è molto caldo e i picchi di 30°C continuano a rendere insopportabile la sofferenza delle donne che, costrette in un lungo hijab nero, si vedono private della possibilità di spogliarsi dei propri abiti, oltre che della libertà. Sopportano, silenziose, il proprio dolore perché - lo sanno bene - la vita non vale un capriccio. E non possono neppure permettersi la leggerezza di distrarsi, loro, sottoposte all’occhio vigile della polizia morale distribuita per tutta la città.
Chissà a che cosa stava pensando Mahsa Amini prima di ritrovarsi, un anno fa, sotto i colpi dei suoi aguzzini, accortisi, prima di lei, che una ciocca dei suoi capelli era rimasta fuori dal velo a incorniciarle il volto. E chissà se adesso, finalmente, la sua anima sarà libera di volare tra i sogni di fanciulla, dopo aver abbandonato per sempre quel corpo di donna responsabile della sua condanna a morte.
Pare quasi inammissibile, oggi, domandarsi se si possa morire per la sola ragione di essere una donna: la risposta dovrebbe essere ovvia, eppure non lo è. Non a Teheran. Mahsa è stata immolata sull’altare del sacrificio a soli ventidue anni, vittima di un meccanismo perverso contro il quale si leva il suo pianto: «donna, vita, libertà» è il grido di un dolore soffocato per troppo tempo nel silenzio; è l’invocazione di libertà che rimbomba come un’eco assordante nelle orecchie di chi non vuole sentirla; è la vita che resiste ai soprusi.
Ecco, dunque, che nel tentativo disperato di cercare di comprendere che senso abbia vivere se poi si è costretti a scendere a patti con la libertà per una ciocca di capelli fuori posto, riconosco - ancora una volta - il valore della riflessione di Seneca in merito al tempo che ci è dato da vivere. «A nulla vale» - afferma lui - «il numero di anni in cui ci è concesso vivere, quanto l’intensità con cui essi sono stati vissuti». Mahsa avrebbe voluto vivere ancora, certo, ma la forza di un gesto nutrito dalla spensieratezza dei suoi anni, ha spezzato la sua vita, dando un senso a quella di tante donne che, come lei, sono costrette ad affacciarsi al mondo da una finestra di stoffa.
Libera i tuoi capelli, Mahsa: adesso, finalmente, puoi.