Forse avete sentito parlare dell’Iran quando avete studiato storia e vi è capitata tra le mani una mappa della Persia. Mamma e papà ma anche i vostri insegnanti si ricordano di questo Paese per una guerra durata otto anni, dal 1980 al 1988, tra Iran e Iraq.
L’Iran, anche se è un posto straordinario, non è un luogo dove molta gente va in vacanza perché lì, la mamma dovrebbe girare per le città con il velo (hijab) che copre la testa e i capelli; papà non potrebbe pagare con le carte di credito (sono bloccate) e nessuno potrebbe bere anche una sola birra in un bar o in piazza.
Sono le Leggi della Repubblica islamica dell’Iran. Eppure in questi giorni qualcosa sta cambiando. Se vi è capitato di ascoltare il telegiornale o di sfogliare un quotidiano avrete visto che ci sono ragazze, poco più grandi di voi, che hanno deciso di togliere il velo, di tagliarsi i capelli, di riconquistare la “libertà”. Sta succedendo quella che si chiama una rivoluzione.
Per spiegarvi nel migliore dei modi possibili quanto sta accadendo in questo Paese a cinque/sei ore d’areo da noi abbiamo chiesto un aiuto a un giornalista, inviato di guerra: Domenico Quirico che oggi è il caposervizio delle cronache estere del quotidiano La Stampa. Lui, è stato anche sequestrato in Siria e da sempre si occupa dei conflitti nel mondo.
Ognuno di noi è prigioniero della propria geografia. Il posto in cui nasci determina la tua vita. Chi è nato in Iran, si trova in un luogo all'estremità orientale del Medio Oriente, rinchiuso tra grandi potenze: l’Arabia Saudita, la Russia e l’India. L’Iran che è grande come Regno Unito, Francia, Spagna e Germania messe insieme, è sempre stato importante per la sua posizione geografica e per la presenza del petrolio.
Teheran è la capitale dell’Iran ed è una città con oltre otto milioni di abitanti; università, scuole di ogni tipo, una metropolitana efficiente, palazzi antichi e grattacieli. A Teheran ci sono anche due importanti squadre calcistiche che militano nella massima serie: Persepolis F.C ed Esteghlal F.C.
Vi è inoltre l'Azadi Sports Complex, che oltre ad ospitare diversi impianti sportivi di vario genere, comprende anche lo Stadio Azadi, che è il più grande in Iran e nel Medio Oriente, ed è utilizzato dalle squadre calcistiche della città.
Per capire cosa sta accadendo in questi giorni in Iran bisogna conoscere le regole di questo Paese. Intanto: chi le decide? Leggete bene come si definisce la forma di governo di questo Paese: Repubblica islamica. Notate qualcosa? L’Italia è una Repubblica democratica (lo dice l’articolo uno della nostra Costituzione) mentre in Iran si dice che è “islamica” cioè una repubblica religiosa perché l’Islam è la religione dei musulmani. È come se noi in Italia, scrivessimo che siamo una Repubblica cattolica cristiana.
Questo cosa comporta? In Iran a “comandare” non è il presidente eletto dal popolo (che in questo momento è Ebrahim Raisi) ma quello che loro chiamano la “Guida suprema”: l’ayatollah Ali Khamenei (83 anni) una “specie” di Papa in questo Paese.
Gli ayatollah, infatti, sono “i preti” (diremmo noi): persone che studiano l’Islam e che possono predicarlo. In Iran sono persone che hanno anche molto potere economico: fabbriche, miniere, giacimenti di petrolio. Per loro è quindi importante mantenere il potere attuale. È lui, la Guida Suprema, a decidere le Leggi che in Iran sono particolarmente “dure” nei confronti delle donne: le ragazze devono indossare il velo; non possono cantare; andare in bici; nuotare; entrare negli stadi; divorziare o lasciare il Paese a meno che non lo decida un uomo della famiglia o il marito. E se il marito (o il papà o il fratello) decidono che non devono studiare o lavorare, non lo possono fare.
In giro per le città c’è la cosiddetta “polizia morale”, un corpo delle forze dell'ordine iraniano istituito nel 2005 con il compito di arrestare le persone che violano il codice di abbigliamento. Le persone arrestate dalla polizia morale ricevono un avviso o, in alcuni casi, vengono portate in "strutture di correzione" o in una stazione di polizia dove vengono insegnate loro come vestirsi o comportarsi moralmente prima di essere rilasciate ai loro parenti maschi.
Le donne vengono spesso detenute e rilasciate solo quando un parente sembra fornire rassicurazioni sul rispetto rigoroso alle norme di abbigliamento. A volte vengono date multe, anche se non esiste una regola generale sulla sanzione pecuniaria.
Il 15 agosto scorso, il presidente Ebrahim Raisi, ha firmato una Legge per far rispettare la legge sull'hijab.
In base alla norma, le donne che pubblicano le loro foto senza l'hijab sui social network sono private di alcuni diritti sociali per un periodo compreso tra sei mesi e un anno, come l'ingresso negli uffici governativi, nelle banche o l'utilizzo dei mezzi pubblici.
È da qualche anno che in Iran, le donne soprattutto, provano ad opporsi a queste regole. Già nel 2009 milioni di persone scesero in piazza per protestare contro queste Leggi ma anche contro le elezioni che erano state fatte imbrogliando i voti ed eleggendo chi voleva la Guida Suprema.
Tre anni fa scoppiò una protesta diffusa, ma l’esercito uccise migliaia di persone per fermare la rivolta e bloccarono Internet in modo che la gente non potesse usare i social per diffondere nel mondo le immagini delle manifestazioni contro la Guida suprema.
Nei giorni scorsi le proteste sono ricominciate grazie a Mahsa Amini, una ragazza di 22 anni, fermata dalla polizia morale perché non indossava il velo e picchiata a morte. Dopo quello che è accaduto a lei, le altre donne del Paese e anche molti uomini hanno deciso di scendere in piazza e protestare. Centinaia di ragazze, di 20, 22, 23 anni, hanno tolto il velo, tagliato i capelli in pubblico, bruciato l’hijab. Tanti hanno dato fuoco anche alle fotografie di Khamenei. Nei giorni scorsi Hadith Najafi, 24 anni, è andata a protestare nella sua città con i capelli sciolti ed è stata uccisa con sei colpi di pistola.
La polizia morale ma anche l’esercito regolare sono scesi in piazza contro i manifestanti e ad oggi sono già state arrestate, dopo tredici giorni di proteste oltre tre mila persone e uccise almeno settanta. Intanto ieri (28 settembre) i calciatori della Nazionale iraniana di calcio hanno deciso di appoggiare la protesta delle donne del loro Paese con un gesto simbolico di grande impatto: prima dell'amichevole con il Senegal - giocata in Austria, a Maria Enzersdorf, subito a sud di Vienna - hanno coperto con dei giubbotti neri le proprie maglie durante l'esecuzione dell'inno.
In questa protesta un ruolo importante ce l’hanno i social network. Grazie a Tik Tok, infatti, le ragazze che protestano stanno mostrando a tutto il mondo quello che le televisioni e i giornali locali non fanno vedere perché sono nelle mani del Governo. Anche stavolta, come nel 2019, hanno bloccato Internet perciò non si possono più usare Whatsapp, Twitter ma grazie al satellite “Starlink” della società Tesla si riesce ancora a comunicare.