Davide Morosinotto ha 41 anni ed è uno scrittore di libri di fantascienza, di molti romanzi per ragazzi e anche giornalista, traduttore, viaggiatore e collaboratore di Focus Junior. Cresciuto ai piedi dei colli Euganei, oggi vive ai piedi dei colli bolognesi e, grazie alla sua professione, ha tantissimi amici sparsi in tutto il mondo. Sarà forse per questo che la sua creatività è così grande: Davide ha pubblicato finora più di 40 romanzi, tradotti in 20 lingue. E nel 2017 il suo libro Il rinomato catalogo Walker & Dawn (Mondadori) ha vinto il Superpremio Andersen come libro dell’anno. Ma non finisce qui: nel 2021 è fresco vincitore del prestigioso Premio Strega Ragazze e Ragazzi con il romanzo La più grande.
Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la storia dell'Ultimo cacciatore, il suo romanzo appena uscito. La prima cosa che ci ha detto è che scrivere è un modo per fare "viaggi" in luoghi lontani, di scoprire nuove cose sul mondo e anche su se stesso, e ciò lo rende molto felice. Ci ha anche svelato che da ragazzino era bravissimo in matematica e... ok, ok, non corriamo troppo e partiamo dall'inizio.
Davide, il tuo nuovo libro è una storia fantastica ambientata nella preistoria. È solo fantasia oppure c'è della vera scienza?
«L'ultimo cacciatore nasce da Twilight of the mammoth (Il crepuscolo dei mammut), il saggio di un paleontologo chiamato Paul Martin che racconta di come, un tempo, il mondo fosse popolato di animali straordinari e giganteschi (la Megafauna del Pleistocene) che poi si sono estinti. Secondo Martin per colpa di noi uomini. Questa ipotesi è stata messa in discussione e modificata da altri studiosi, nel corso degli anni... Ma è stata l'inizio del mio viaggio in un'epoca davvero molto lontana da noi».
Da ragazzino ti piaceva leggere?
«Tantissimo, ho cominciato a leggere alla scuola dell'infanzia con i fumetti di Topolino. Poi, Il giro del mondo in 80 giorni è stato il mio primo amore. E dopo tutto il resto. Mi piacevano anche i cartoni animati, i film e i videogiochi. Insomma, amavo "tutto quello che raccontava"».
Nelle tue storie c'è una morale, un qualche insegnamento?
«Non c'è mai! Anzi, se ne trovo una sto attento a toglierla. I libri con una morale di solito sono pessimi libri, cercano di insegnarti qualcosa con l'inganno. Secondo me invece deve succedere l'opposto: le storie sono come sono, e i lettori poi possono trovarci tanti significati diversi, a seconda di cosa cercano in quel momento, della loro esperienza. La morale è compito del lettore, mai di chi scrive».
Secondo te, perché i tuoi libri piacciono tanto?
«Non ne ho idea, anzi, sono sempre un po' stupito; quando comincio un nuovo progetto mi dico sempre "questo lo faccio perché piace a me, ma vedrai che poi non se lo leggerà nessuno..."».
E se tornassi indietro faresti ancora lo scrittore?
«Se tornassi indietro farei molte scelte diverse, anche per vedere l'effetto che fa, ma... sì, credo che continuerei a scrivere, anche perché non è che sappia fare molto altro...».
Per il tuo lavoro di scrittore le parole sono importanti. Qual è la tua preferita?
«Ho tantissime parole preferite. Una che adoro è "ipotiposi": è quando delle parole scritte, magari la descrizione di un posto, sono così vive che di colpo nella nostra testa noi non vediamo più quelle parole ma direttamente un'immagine, come se fossimo in un film. Una cosa complicata e bellissima che si può dire con nove lettere. Ipotiposi».
Mi pare di capire che, per te, la scrittura non sia semplice scrittura. Che cos'è "davvero"?
«È la mia felicità, il mio modo di viaggiare lontanissimo, di scoprire nuove cose sul mondo e, anche, su di me».
Qual è stato il tuo libro preferito da ragazzino? E quello di oggi?
«Ho tantissimi libri preferiti, non saprei sceglierne uno solo. Da bambino tutto Giulio Verne, tutto Jack London, Isaac Asimov. Poi alle medie Stephen King, Ray Bradbury, al liceo tanti manga in particolare Hiroiko Araki. All'università moltissimo Philip Dick. Adesso... Beh, uno dei libri per ragazzi più belli che ho letto quest'anno è "La scimmia dell'assassino", dello svedese Jakob Wegelius. Molto consigliato».
Hai mai sognato di essere il protagonista di uno dei libri che hai letto? Se sì, quale?
«Di tutti quanti, credo. È quella la magia, no? Ma se proprio me ne fai scegliere uno, forse ti direi Atreiu, il protagonista della Storia Infinita».
Che bambino eri a 10 anni?
«Ero un ragazzino pieno di sogni. Il mondo era più grande di com'è oggi, non c'era Internet e molta meno comunicazione, ma ogni tanto arrivavano notizie di cose favolose... Viaggi da fare, computer da costruire, imprese da compiere. Avevo una gran voglia di lasciare il mio paese e di partire verso chissà dove».
E come ti descriveresti con tre aggettivi, ti piaceva la scuola?
«Distratto, curioso, indeciso. Quanto alla scuola non la amavo tanto. Ho sempre fatto fatica a sopportare tutte quelle ore seduto dietro un banco, mi annoiavo a morte...».
Però, visto dove sei arrivato eri bravo, giusto?
«Direi di sì, soprattutto in matematica. La matematica era davvero il mio forte, infatti uno dei miei rimpianti è di non averla potuta studiare meglio, da grande… I numeri sono il vero linguaggio della storia del mondo».
E con i compagni eri generoso? Insomma... li facevi copiare?
«Quello sempre. Ricordo che una volta, in prima media, c'era un bulletto che mi dava sempre fastidio. Finché un giorno, a ricreazione, dietro di me è comparso un gigante che ha detto al bullo "lui d'ora in poi è con me e lo lasci stare". Il gigante era un mio compagno di classe, fortissimo, a cui avevo appena passato il compito di mate...».
E qual era il tuo sogno da bambino?
«Ho scoperto fin da piccolissimo che di tutte le cose che c'erano nel mondo, a me interessavano soprattutto le storie. Quindi sognavo questo, di poter raccontare storie per vivere. Non sono in tanti che alla mia età possono dire di aver realizzato esattamente il proprio sogno di bambini... Sono fortunato».
E allora che cosa consigli ai giovani che vogliono realizzare il proprio sogno?
«Lavorare tanto, lavorare tantissimo e farlo con allegria. Di solito i buoni sogni sono complicati da realizzare e hanno tanti ostacoli davanti. Bisogna impegnarsi per superarli uno dopo l'altro. E godersi il viaggio, perché è un po' come un videogame: il divertimento non è finire il gioco ma sudarci dentro, un livello dopo l'altro».
Nel tuo "L'ultimo cacciatore", hai dato agli animali preistorici nomi sorprendenti, che nulla hanno a che fare con i nomi veri. Perché questa scelta?
Il mondo del Pleistocene è completamente diverso dal nostro... Molti degli animali e delle piante che lo popolano non esistono più oggi, e quindi noi moderni non abbiamo più nemmeno dei nomi per chiamarli, a parte il latino scientifico usato dai paleontologi. Solo che i miei personaggi vivono molto, molto prima che gli antichi Romani inventassero il latino, e quindi sarebbe stato strano sentirli parlare di eremotherium (che era una specie di bradipo) o di taxifolia (un'alga)... Ho capito che dovevano avere una lingua tutta loro, nuova, com'era nuovo il mondo in cui vivono.
Quindi i nomi te li sei inventati!
Quando un animale dell'epoca ricorda vagamente qualcosa che conosciamo anche noi ho cercato un nome che lo richiamasse. Così, per esempio, l'aenocyon dirus, che assomiglia a un grande lupo, è diventato "luno". Quando invece l'animale non ha più "parenti" moderni, ho inventato un nome che permettesse di capire più o meno com'era fatto. E così il glyptodon owen (il gliptodonte) è diventato "grancorazza".
Grazie Davide! E allora, prima di salutarci, ecco per i focusini la trama della tua ultima fatica: il giovane Roqi non vede l'ora di scoprire il proprio talento. Così potrà partecipare alla Grande Caccia all'elegrande (il mastodonte) insieme agli altri ragazzi della sua tribù e così diventare adulto. Ma, proprio il giorno in cui si rende conto di avere il "talento di uccidere", un incendio divampa nella foresta, divorando ogni cosa sul suo cammino. Compreso l'accampamento in cui vive e tutti gli adulti della tribù: lui e altri cinque amici si ritrovano completamente soli.
Per Roqi e i suoi amici (Ama con il "talento delle storie", Ocho con il "talento delle corde", Cato "della pietra", Beri "del fuoco" e la piccola Hona), riuscire a sopravvivere non è facile e ben presto capiscono di avere bisogno di altri uomini, di una tribù. Si mettono allora in cammino per cercarla, ma durante il viaggio molte cose cambiano tra di loro. Nell'affrontare la foresta, procurarsi il cibo, difendersi dai predatori quei bambini, che sono cresciuti insieme, sono chiamati a compiere scelte difficili, a volte dolorose, a volte spietate. Fino a quando hanno finalmente l'occasione di partecipare a una Grande Caccia. Ma Nioqo il Viaggiatore li mette in guardia: «Tutti i ragazzi aspettano il momento di diventare adulti. E quando quel momento arriva, si accorgono che è capitato troppo presto». E infatti...
L’ULTIMO CACCIATORE
Autore: Davide Morosinotto
Editore: Mondadori
Prezzo: 17 €
LA CARTA DI IDENTITÀ DI DAVIDE
Nato nel 1980 vicino a Padova, oggi vive a Bologna. Nel 2007 ha vinto il Mondadori Junior Award e ha pubblicato il suo primo libro. Da allora ne ha scritti più di quaranta e, oltre al Rinomato Catalogo Walker & Dawn: La sfolgorante luce di due stelle rosse e Il fiore perduto dello sciamano di K, pubblicati da Mondadori.
Molti i suoi riconoscimenti internazionali: è stato finalista al prestigioso Deutscher Jugendliteraturpreis in Germania, ha vinto il Prix des Bouquineurs en Seine in Francia, il KJV nelle Fiandre, il Vlag en Wimpel e lo Zilveren Griffel nei Paesi Bassi. Con La Più Grande (Rizzoli) è finalista al Premio Strega ragazze e ragazzi 2021.