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In Iran le donne fanno la rivoluzione per la loro libertà

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In Iran le donne fanno la rivoluzione per la loro libertà
Getty Images

L’Iran è una repubblica islamica piena di divieti e imposizioni, soprattutto per le donne. È un paese di donne forti e coraggiose che stanno combattendo per rivendicare quelle libertà che in Europa diamo per scontate

In Iran le donne si sono ribellate alle rigide leggi spirituali dell’Ayatollah Khamenei. E a differenza del passato, oggi, l’intero paese si è schierato per sfidare il violento regime teocratico.

La scintilla è scoccata il 16 settembre, il giorno in cui si è diffusa la notizia dell’uccisione di Mahsa Amini, una ragazza di 22 anni del Kurdistan iraniano, in vacanza a Teheran. Mahsa è stata arrestata dalla polizia morale perché aveva una ciocca di capelli fuori dal velo e, dopo tre giorni di torture, è morta.

La notizia ha fatto il giro dei social scatenando la rabbia delle giovani donne in primis, ma anche di tutta la popolazione. Un fatto senza precedenti per l’Iran. Infatti la protesta delle donne iraniane è diventata una rivoluzione contro il regime che coinvolge tutti, giovani, intellettuali, lavoratori e persino le persone che vivono nelle zone rurali del paese.

Noi abbiamo intervistato Ghazal Afshar dell'associazione Giovani Iraniani in Italia

Chi è Ghazal Afshar?
È una giovane attivista nata in Iran nel 1984 che vive stabilmente in Italia da quando ha nove anni. Ghazal (foto sotto) ha lasciato il suo paese perché i genitori, due attivisti iraniani si sono schierati contro il regime degli ayatollah.

Per questo motivo sono stati costretti a fuggire dall'Iran rifugiandosi in Italia. Lo spirito da attivisti però li ha portati a unirsi ai combattenti iraniani lasciando l'Italia per trasferirsi in Iraq, ai confini con l'Iran.

Scopriamo con Ghazal la storia della sua famiglia e del suo paese

Iran

Ciao Ghazal raccontaci di te.
«Sono un'attivista iraniana cresciuta in Italia. Ho dovuto lasciare il mio paese in tenerissima età, a nove mesi, assieme alla mia famiglia in seguito all'instaurazione dell'attuale regime. I miei genitori avevano abbracciato la resistenza iraniana e per questo motivo siamo dovuti fuggire dall'Iran. Erano membri di quella che è l'unica realtà di opposizione nei confronti di questo regime, la "resistenza iraniana” conosciuta anche come mojahedin, una parola che significa combattenti per la propria patria. I mojahedin del popolo iraniano sono tra le forze più attive che combattono da sempre contro la dittatura, prima contro lo scià poi contro il regime teocratico instaurato in Iran da Khomeini nel 1979».

A un certo punto avete lasciato l'Italia, perché?
«Nel 1987 i miei genitori hanno deciso di unirsi ufficialmente al movimento di resistenza iraniana perché comunque era forte la voglia di rovesciare questo regime. Il movimento di resistenza aveva la sua base in Iraq, al confine con l’Iran, quindi ci siamo trasferiti con altri parenti in Iraq. Sono rimasta lì  fino al 1990, anno dell'inizio della Guerra del Golfo.

E poi?
«Con lo scoppio di questa guerra tutti i bambini e coloro che non erano in grado di difendersi, sono stati mandati nelle altri parti del mondo da parenti e amici. Io e mio cugino siamo arrivati in Italia, a Roma, da uno zio paterno. Lo stesso zio con cui avevamo vissuto in quei tre anni quando ci siamo rifugiati in Italia. Da quel momento ho vissuto stabilmente in Italia e non ho più visto i miei genitori».

I tuoi genitori sono rimasti in Iraq?
«Esatto. Dovevano combattere contro il regime. Nel 1988 nel nostro paese è avvenuto quello che è conosciuto come il “massacro del 1988”,  in una sola estate il regime iraniano ha arrestato tantissimi dissidenti politici e ne ha uccisi 30.000, tra questi anche mio padre, lo hanno fucilato, e mia zia materna è stata uccisa con l'impiccagione. Questa, purtroppo, è una realtà che riguarda tantissimi iraniani perché è una una tragedia che ha toccato quasi ogni famiglia».

E la tua mamma?
«Mia madre è rimasta in Iraq perché ha deciso di continuare questa lotta. È rimasta lì fino a circa sette anni fa, dopodiché assieme ad altri attivisti si è rifugiata in Albania perché l'Iraq era diventato pericoloso. Ci  sono stati 34 attacchi missilistici e, sette anni fa, grazie all’intervento delle Nazioni Unite e di alcuni governi occidentali si è trovato l'unico paese che ha accolto queste persone in blocco. Il paese è l’Albania, qui gli iraniani trasferiti, parliamo di circa 3500/4000 persone, hanno costruito una nuova città chiamata Ashraf 3. Mia madre si trova lì, l'ho rivista dopo venti anni e ora, finalmente, ho la possibilità di andarla a trovare.

Torniamo all'Iran

Dallo scià a Khomeini
«Khomeini ha approfittato del fatto che lo scià in quegli anni avesse imprigionato tutti coloro che si erano opposti alla sua dittatura. In questo modo non incontrando l'opposizione del popolo è riuscito a instaurare la repubblica islamica totalmente nelle mani del wali-e fiqiyye, ovvero il leader supremo. Attualmente il leader supremo è Ali Khamenei succeduto a Khomeini. Nell'arco di 44 anni abbiamo avuto un regime dittatoriale e totalitario».

Che tipo di dittatura è?
«È una dittatura religiosa, mentre con lo scià era una dittatura monarchica. In molti pensano che ai tempi dello scià si stesse meglio, non è così. Semplicemente prima le donne non portavano il velo e si vestivano all’occidentale. Ma anche in quel caso erano obbligate. Lo scià aveva vietato  di portare il velo. Non è giusto vietare il velo in un paese dove la religione islamica è preponderante. L'attuale regime invece impone di indossare il velo».

Avete sempre vissuto sotto una dittatura?
«Con lo scià sembrava ci fosse libertà, ma era solo apparenza. Gli oppositori venivano individuati e arrestati dai savak i servizi segreti imperiali iraniani. Aver tolto di mezzo i "rivoluzionari" ha permesso a Khomeini di “usurpare” - come diciamo noi - la rivoluzione del nostro popolo. Khomeini ha avuto la possibilità di instaurare una dittatura peggiore perché teocratica. Vengono strumentalizzati e interpretati a proprio vantaggio quelli che sono i precetti del Corano. Viene utilizzata la religione islamica per andare a istituzionalizzare la misoginia».

Le prime vittime sono le donne?
«Esatto. Purtroppo sotto questo regime le prime vittime sono prevalentemente le donne i cui diritti sono totalmente calpestati. Una bambina di nove anni può essere data tranquillamente in sposa a un uomo molto più grande, anche un anziano. Nove anni è l’età minima per essere date in moglie. Inoltre la donna anche a livello legale vale meno di un uomo: in un processo, per esempio, la sua testimonianza vale la metà rispetto a quella di un uomo e affinché possa essere presa in considerazione deve essere accompagnata da una figura maschile come il padre, il marito o il nonno che nella costituzione islamica sono considerati i tutori della della donna in tutto e per tutto».

La donna non può decidere nulla?
«In maniera autonoma no, tutte le decisioni che prende dallo studio allo al matrimonio, al viaggiare e qualsiasi altro aspetto della vita passa attraverso l'autorizzazione del proprio tutore. Insomma, il regime ha interpretato a proprio piacimento i precetti del Corano per istituzionalizzare la misoginia».

Quindi il Corano è contro la donna?
«No, assolutamente. Il Corano è un libro di precetti scritto in tempi remoti. Nel Corano per esempio si dice di lavarsi 5 volte il giorno, un consiglio pratico perché si viveva soprattutto accampati in tende. Oppure l'invito a portare il velo era semplicemente una tutela verso la donna perché, molto spesso, si trovava tra schiere di uomini, spesso beduini, e poteva  essere soggetta a violenze. Il Corano è un libro di precetti, di consigli  che deve essere contestualizzato nel periodo in cui è stato scritto».

La protesta delle donne in Iran

È la prima volta che le donne scendono in piazza in Iran?
«No, è successo anche durante la rivoluzione del 1979. In prima linea c’erano le donne».

Come mai adesso fa notizia?
«Onestamente non lo sappiamo. Probabilmente la storia di Mahsa Amini, una delle migliaia di vittime di questo regime, è stata la scintilla che ha scatenato tutto. Forse per le immagini che sono state diffuse sui social, mentre era in ospedale in coma. Se ne è parlato improvvisamente e in maniera anche molto forte ed è ed uscita fuori la questione delle donne. In Iran ogni anno una media di 200 donne viene condannata a morte».

Una protesta chiamata rivoluzione

Perché la vostra lotta la chiamate rivoluzione?
«La chiamiamo rivoluzione perché  queste proteste sono state un po' sottovalutate e legate semplicemente al velo delle donne. Il velo è solo uno dei tantissimi problemi della nostra popolazione, le vittime di questo regime non sono soltanto le donne. Infatti per strada vicino alle donne ci sono anche gli uomini, tantissimi uomini».

 

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