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Impronte fossili sulle Alpi Apuane: appartengono a rettili vissuti 250 milioni di anni fa

Coccodrilli in alta montagna? Più o meno! nella zona dell’Altopiano della Gardetta (in provincia di Cuneo), sono state trovate a ben 2.200 metri d’altitudine le impronte fossili di un rettile arcosauriforme, come il moderno coccodrillo, risalente a circa 250 milioni di anni fa, durante il periodo Triassico.

La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Peer J da geologi e paleontologi del Muse (il Museo delle Scienze di Trento), dell’Istituto e Museo di Paleontologia dell’Università di Zurigo e delle Università di Roma, Genova e Torino.

ORME DEL TRIASSICO

Le impronte fossili ritrovate su una roccia di quarzarenite sono composte da tre coppie di orme di zampe posteriori e anteriori di circa 30 cm di lunghezza impresse durante la passeggiata dell’animale in una zona fangosa, probabilmente vicino alle acque di un fiume.

Le impronte sono state scoperte in un perfetto stato di conservazione – si potevano notare persino i cuscinetti carnosi sotto le falangi – e hanno permesso agli scienziati di ricostruire lo scheletro degli arti, definire le dimensioni del simil-coccodrillo preistorico (che doveva misurare più o meno 4 metri di lunghezza) e, benché non sia stato possibile delineare l’identità completa dell’organismo, classificare una nuova specie denominata Isochirotherium gardettensis, in onore della località del ritrovamento.

UN PASSATO “ABITALE” PER LE ALPI 

Durante il Triassico Inferiore l’area della Val Maira – dove è avvenuta la scoperta – si trovava in prossimità dell’equatore e non era affatto un luogo montuoso. Fino a poco tempo però si riteneva che in quel tempo, la zona fosse troppo inospitale per poter essere abitata da creature di grandi dimensioni.

Invece, proprio grazie a Isochirotherium gardettensis, si sta dimostrando come l’area fosse popolata da specie “scampate” alla grande estinzione di massa del Permiano-Triassico, la più terribile della storia del pianeta (peggiore di quella che spazzò via i dinosauri).

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Niccolò De Rosa

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