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“I HAVE A DREAM”: il 28 agosto di 60 anni fa lo storico discorso di Martin Luther King

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“I HAVE A DREAM”: il 28 agosto di 60 anni fa lo storico discorso di Martin Luther King
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Il 28 agosto 2023 "I have a dream" compie sessant'anni: chi era Marin Luther King e come le sue lotte hanno cambiato il mondo.

Era il 28 agosto 1963. Sono passati esattamente sessant'anni da “I have a dream”, una frase che avrebbe cambiato la storia. La pronunciò Martin Luther King a Washington. Si era appena conclusa una manifestazione per i diritti civili, conosciuta come “La marcia su Washington per i diritti e la libertà”. All’epoca il presidente degli Stati Uniti d’America era John Fitzgerald Kennedy, che fu ucciso solo tre mesi dopo.

Il discorso ormai conosciuto con il nome della sua frase più celebre, ossia appunto “I have a dream”, fu da quel momento, ed è tuttora, il simbolo della lotta contro il razzismo. Negli Stati Uniti, sì, ma in realtà in tutto il mondo. Eccone alcuni estratti.

Un discorso da brividi

“Vi dico, amici miei, che anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. È un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, ossia che tutti gli uomini sono creati uguali. Io ho un sogno: che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo furono padroni degli schiavi, sapranno sedere assieme al tavolo della fratellanza. Io ho un sogno: che un giorno perfino lo stato di Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia. Io ho un sogno: che i miei quattro figli piccoli un giorno vivranno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per la qualità del loro carattere. Io ho un sogno: che un giorno ogni valle verrà esaltata, ogni collina e ogni montagna verranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati, e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli esseri viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. (…) Da ogni pendice risuoni la libertà. E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare le parole del vecchio spiritual: ‘Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie a Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente’ ”.

Un discorso preparato solo in parte: i passaggi più belli furono improvvisati

Martin Luther King scrisse la bozza del discorso insieme a Stanley Levison e Clarence Benjamin Jones a New York. Ma mentre parlava davanti a 250.000 persone, ad un tratto lasciò stare i fogli e si concentrò su quella frase. Da un certo punto in poi, quindi, King parlò a braccio, improvvisando. La parola “dream”, ossia “sogno”, fu pronunciata otto volte. A cosa si riferiva? Al sogno dell’uguaglianza fra bianchi e neri in un Paese che in quegli anni stava vivendo una vera e propria rivolta da parte degli afroamericani.

Martin Luther King e la protesta di Rosa Parks

Ancora in quegli anni esistevano scuole per bianchi e scuole per neri, gli afromaericani dovevano cedere il posto ai bianchi sugli autobus (nel 1955 Rosa Parks fu la prima afroamericana a ribellarsi a questa ordinanza dello stato dell’Alabama) e molte altre cose. I neri, in America, erano di fatto esclusi dalla vita sociale, culturale e politica del Paese, emarginati e ghettizzati non solo idealmente, ma anche fisicamente. Fu proprio dopo la ribellione di Rosa Parks che Martrin Luther King, all’epoca sconosciuto, organizzò un boicottaggio degli autobus di Montgomery (città dove era avvenuto il fatto di Rosa Parks), per protestare contro la segregazione razziale. La comunità di colore, infatti, non avrebbe preso gli autobus a Montgomery per oltre un anno, per la precisione per 381 giorni. King fu arrestato insieme ad altre 90 persone di colore per intralcio ad un servzio pubblico, ma ricorse in appello e vinse. Il 4 giugno 1956 una corte distrettuale degli Stati Uniti emanò la sentenza secondo cui la segregazione razziale sugli autobus è anticostituzionale. Decisione importante, ma le cose non cambiarono molto.

I sit-in

I neri americani continuarono nella loro resistenza passiva sulla linea del reverendo Martin Luther King. Nel 1960 a Greenboro, nella Carolina del nord, quattro studenti entrarono in un supermercato e chiesero altrettanti caffè al banco, ma il titolare del negozio si rifiutò di servirli. I quattro, allora, decisero di restare nel negozio a sedere fino all’orario di chiusura. Fu così che da quel momento nacquero i “sit-in”, forma di protesta che fu da subito adottata in 15 città e in 5 stati del sud.

Kennedy dalla parte della comunità afroamericana

Nell’aprile del 1963, il presidente J.F. Kennedy chiese al Congresso di emanare leggi che garantissero a tutti i cittadini uguale accesso ai servizi e alle strutture pubbliche e private, e che non venisse permessa l’assunzione nelle imprese e nelle istituzioni di sole persone bianche. Un anno dopo, e dopo la morte di Kennedy avvenuta il 22 novembre 1963, fu promulgato il Civil Rights Act.

Chi era, in breve, Martin Luther King

Martin Luther King Jr., nato come Micheal King Jr., era un pastore protestante, reverendo della chiesa battista, attivista, politico e leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani. Fu suo padre, nel 1934, a cambiarne il nome in Martin Luther, dopo un viaggio in Germania in cui ebbe modo di approfondire lo studio del riformatore tedesco Martin Lutero.

Nato ad Atlanta, in Georgia, il 15 gennaio 1929, di origini nigeriane e irlandesi, si ispirò fin da giovanissimo alla figura di Gandhi e alla cosiddetta “non violenza” nel protestare. Oltre a Gandhi, una sua ispirazione fu Richard Gregg, il primo americano a teorizzare la lotta non violenta. Si laureò in sociologia a soli 19 anni. Anch’egli, nella sua adolescenza, aveva più volte dovuto cedere il posto sugli autobus ai bianchi e si era sentito appellare “nigger” (negro): in una di queste occasioni, dopo esser stato chiamato “negro” dal suo capo – era un lavoro estivo, nel 1946, presso l’Atlanta Railway Express Company – si licenziò. Nel 1954 divenne pastore in una chiesa battista a Montgomery, in Alabama. Nel 1955 si fidanzò con Coretta Scott (sua futura moglie), ottenne il dottorato in filosofia all’Università di Boston e diventò vicepresidente del Consiglio dell’Alabama per i rapporti umani.

Dopo il fatto che vide protagonista Rosa Parks proprio a Montgomery, in Alabama, Martin Luther King intervenne. Rosa Parks, per non aver lasciato il posto sull’autobus ad un bianco, fu arrestata. La comunità di colore reagì, e molti autobus furono incendiati. King decise per una protesta non violenta che si basava sul boicottaggio: nessun nero doveva usare gli autobus. Il boicottaggio durò 381 giorni. I gruppi violenti della comunità bianca, come il Ku Klux Klan, fecero esplodere un ordigno fuori dalla casa di King. Il movimento di protesta non violenta degli afromericani cominciò allora a riscuotere consensi in altri stati americani e non solo: arrivarono fondi anche da alcuni Paesi asiatici ed europei.

Nel 1956 King fu uno dei fondatori del Congresso dei leader cristiani degli stati del sud, che riuscì a riunire e dare forma ai vari movimenti di neri. Si batté perché agli afroamericani fosse concesso il diritto al voto (ebbene sì, non avevano diritto neanche a quello), e fu arrestato e maltrattato in molte occasioni. Nel 1958 ad Harlem, mentre presentava il suo libro “La marcia verso la libertà”, fu pugnalato al petto da una donna afroamericana che aveva disturbi psichici. Fu operato e si salvò. In seguito, la protesta non violenta si estese in tutti gli Stati Uniti, ottenendo risultati concreti a livello politico e nella conquista dei diritti civili. Nel 1964, King ricevette il Premio Nobel per la pace. Ma gli atti di violenza e di razzismo non cessarono. Nell’aprile 1968, mentre si trovava a Memphis con alcuni suoi collaboratori per partecipare ad una marcia a favore degli spazzini della città (bianchi e neri) che erano in sciopero, King fu ucciso da alcuni colpi di fucile. Fu arrestato due mesi dopo a Londra un tale James Earl Ray, il quale tuttavia dichiarò di non essere stato lui a sparare e di sapere chi era il colpevole. Non avrebbe mai potuto dire il nome del vero killer, perché la notte seguente, in cella, fu ucciso a coltellate.

FONTI:

  • Naso, “Marthin Luther King. Una storia americana”, Laterza
  • Martin Luther King, “Il sogno della non violenza”, Feltrinelli
  • Zitelmann, “Non mi piegherete. Vita di Martin Luther King”, Feltrinelli