È iniziata da poco la scuola e starete tutti indossando il grembiule, sia esso bianco, rosa, blu o nero. Vero? Con la ripresa delle attività scolastiche però, qualche domanda ci frulla in testa, ed una di queste è proprio sul grembiule. Perché si porta? Da quando? È davvero necessario? Siete favorevoli o contrari al suo utilizzo a scuola?
A CHI VENNE L'IDEA DEL GREMBIULE NELLE SCUOLE ITALIANE?
Le epoche storiche e i cambiamenti sociali e politici avranno sempre influenza anche sull’istruzione. Come non potrebbero andare di pari passo? In Italia l’introduzione delle divise scolastiche avvenne nel ventennio fascista (durante il periodo di potere del fascismo e di Benito Mussolini, ufficialmente dal 1922 al 1943). A seconda dell’età degli studenti esisteva un’uniforme apposita per differenziare le categorie, come ad esempio Opera Nazionale Balilla, Figlio della Lupa, Piccola Italiana. Un ordinamento di stampo militare quindi, che è rimasto in uso fino agli anni ‘70 con grembiuli bianchi o neri con un fiocco al collo a mo’ di cravatta.
Questa politica è stata fortemente contestata durante la rivoluzione del ‘68: il movimento sociale di quegli anni criticava l’uso della divisa utilizzata soprattutto per le ragazze perché aboliva la differenziazione tra maschi e femmine.
Dovete sapere ragazzi che, sebbene l’utilizzo del grembiule sia di uso comune nelle scuole materne ed elementari pubbliche, la legge italiana non prevede l’obbligo di indossarlo. Nel 2008 il ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini propose la reintroduzione obbligatoria del grembiule provocando una forte discussione tra l’opinione pubblica. La questione si è riaperta negli ultimi anni quando il ministro degli Interni Matteo Salvini ha dichiarato durante un’intervista a Tg2Italia che “almeno nelle scuole elementari rimettere il grembiule farebbe bene ai bambini ed eviterebbe simboli di diversità”.
CHE NE PENSAVA IL MAESTRO GIANNI RODARI?
Lo scrittore, giornalista, poeta italiano Gianni Rodari era un pedagogo, specializzato nella scienza dell’educazione. Ha scritto, riflettuto e combattuto per capire ed aiutare i bambini ed i grandi a crescere nel migliore dei modi e mondi possibili. Nel 1968 sul Corrierino dei piccoli fu pubblicato un suo articolo che riporto integralmente:
Ho seguito su un grande giornale, una piccola polemica. Questa parola deriva dal greco «polemos», che voleva dire «combattimento». Ma per fortuna le polemiche giornalistiche si fanno senza bombe atomiche, con la penna o con la macchina da scrivere.
Dunque, un noto professore di pedagogia (che sarebbe la scienza dell’educazione) si diceva contrario all’obbligo, per gli scolari, di indossare il grembiulino, col collettino, col fiocchettino: la tradizionale uniforme dentro la quale i bambini dovrebbero sentirsi tutti uguali di fronte al maestro, ma che contrasta con la personalità, lo spirito d’indipendenza, la libertà dei bambini. Due madri di famiglia gli rispondevano sottolineando i vantaggi del grembiulino: economia, praticità, igiene, impossibilità (per le bambine specialmente) di fare sfoggio di vanità.
Voglio entrare anch’io nel «combattimento». Sono armatissimo, perché ho chiesto l’opinione dei maestri che conosco. Uno mi ha detto: “Se non ci fosse il grembiulino, i bambini poveri avrebbero l’umiliazione di mostrare le loro toppe nei pantaloni ai bambini ricchi, vestiti come figurini.” Questo ragionamento non mi convince. La povertà va abolita, non nascosta. Bambini con le toppe nei pantaloni non ce ne dovrebbero essere più, ecco tutto.
Un altro maestro mi ha detto: “Il grembiulino aiuta la disciplina. Che cosa ne diresti di un esercito senza divisa, un soldato col maglione rosso, un caporale con il gilè a fiorellini?” Nemmeno questo ragionamento mi convince: la scuola non è una caserma. E sulla disciplina bisogna intendersi bene: secondo me una classe non è veramente disciplinata quando ascolta immobile e impassibile le spiegazioni del maestro, pena un brutto voto in condotta, ma quando sta facendo una cosa interessante, così interessante che a nessuno viene in mente di guardare dalla finestra, o di tirare le trecce alle bambine, o di leggere un fumetto sotto al banco.
Un grembiule, o magari una bella tuta da lavoro, mi sembra indispensabile se si fa del giardinaggio, se si usa la macchina per stampare (molte scuole la usano), se si fanno pitture grandi con grandi pennelli, per non sporcarsi. Cioè, accetto il grembiule dove e quando è utile e necessario. Come simbolo di uguaglianza, disciplina eccetera non lo capisco. Il fiocco, poi, dà proprio fastidio. In certe scuole lo fanno portare lungo lungo, largo largo. Prima si vede il fiocco, poi il bambino che c’è dietro. Ma forse in quelle scuole lì fanno scrivere col fiocco, invece che con la penna. Senza offesa per nessuno, ho detto la mia. Se non siete d’accordo, non tiratemi le pietre: tiratemi i collettini bianchi, che fanno meno male.
E GLI STUDENTI COSA DICONO DELLA DIVISA?
Guardiamoci intorno: al giorno d’oggi per strada, in TV, sui social network ognuno si veste e si acconcia come gli pare. Mica vi siete stupiti a vedere le sportive alle Olimpiadi di Tokyo coi capelli dai colori più stravaganti? Portate anche voi i jeans strappati che fanno tendenza?
Il 52% di 1.000 studenti intervistati da Skuola.net in un sondaggio del 2019 – riportato da Il Messaggero - sull’uso delle uniformi nelle scuole medie e superiori non era d’accordo. “Siamo tutti diversi e unici – dice uno studente – la diversità deve essere promossa, non limitata”.
Gli studenti favorevoli alle divise rappresentavano il 28% (mentre il 20% si dichiarava indifferente all’argomento) e promuoveva il grembiule come un modo per abbattere le distinzioni e alcune motivazioni per prendersi in giro. “A volte gli atti di bullismo sono dovuti proprio al modo di vestirsi. Introducendo le divise dovrebbero diminuire questi problemi” dice uno studente. Un altro ragazzo ammette: “Non ho voglia di scegliere i vestiti la mattina!”. Altre studentesse si sono dichiarate entusiaste delle divise americane che si vedono nelle serie televisive e le adotterebbero volentieri anche loro.
Come dicevamo all’inizio saremmo molto curiosa di conoscere l’opinione di ognuno di voi perché personalmente è qualche anno che non indosso più il grembiule. Ciò che ci ricordiamo bene invece è che non erano solo i vestiti sotto alla divisa ad essere motivo di vanto o di comparazione nelle aule scolastiche: oltre ai voti di rendimento anche le scarpe, il diario, lo zaino, la macchina dei genitori, la merenda della mattina o l’essere troppo grassi o troppo magri potevano essere motivo di atti di bullismo. Ciò che spesso ci dimentichiamo è di imparare a cercare l’origine del problema piuttosto che “sanare” gli effetti.
IL SIMBOLO DELLA DIVISA
Le scuole pubbliche da quelle private si differenziano per vari motivi: qualità delle strutture, rendimento degli alunni, stipendi del personale scolastico, possibilità di acquisire basi di studio e di sviluppo più efficaci) ed uno di questi sono anche le divise, che generalmente caratterizzano lo status di percorsi più elitari, accessibili cioè a chi può permetterselo a livello economico o per i meriti raggiunti.
Che cosa significa quindi indossare una uniforme? Essere riconoscibili, avere un ruolo, appartenere ad una scuola specifica, essere “uniformi” ovvero uguali agli altri, almeno in apparenza. Se andate in ospedale saprete subito riconoscere un medico da un infermiere poiché il primo indossa il camice; detto questo dovrete ancora leggere il cartellino per sapere se si tratti di un cardiochirurgo o di un oculista.
Uno studio della dottoressa statunitense Karen Pine, professoressa di psicologia alla University of Hertfordshire, ha mostrato che quando si indossa un determinato capo di abbigliamento il cervello è stimolato a comportarsi coerentemente a quello che il vestiario suggerisce. In questa ricerca, riportata dal Daily Mail, è stato chiesto ad un gruppo di studenti universitari di indossare una T-shirt di Superman. Secondo lo studio coloro che hanno messo la maglietta del supereroe, rispetto ai compagni che non la indossavano, si sentivano più attraenti e sicuri, raggiungendo risultati migliori nei test mentali eseguiti. Secondo la professoressa Pine i processi mentali e percettivi vengono influenzati dal significato simbolico che diamo al nostro abbigliamento.
Non è l’abito in sé che conta ma il significato che gli diamo, tanto da lasciarci condizionare. A noi scegliere verso quale direzione.
FONTI
Grembiule sì, grembiule no: la discussione parte dal 1968 (orizzontescuola.it)