Abbiamo intervistato Fasma nel periodo in cui non si poteva uscire e andare in giro, quindi anche una giornalista curiosa come me ha dovuto accontentarsi del telefono. Così un pomeriggio ho deciso di fare una chiamata a Tiberio Fazioli, in arte Fasma: il giovane rapper che lo scorso anno ha partecipato al Festival di Sanremo, nella sezione Giovani Proposte e quest’anno alla 71esima edizione, partecipa nella categoria dei Big.
Fasma è il diminutivo di "Fantasma", perché secondo lui la musica permette di comunicare «anche senza essere presente fisicamente, solo con i suoni, proprio come fa un fantasma».
Quando hai deciso di voler fare musica sul serio?
«Sicuramente quando ho conosciuto GG RAP (Luigi Zammarano, ndr), il mio producer, e Tommy (l’Aggiustatutto, ndr) il mio manager. A loro con il tempo si sono aggiunti i miei “fratelli”, ovvero le persone con cui condivido la vita di ogni giorno. Insieme siamo usciti allo scoperto e sentendoli vicini sono diventato più sicuro».
C’è un episodio che ti è capitato e che hai trasformato in musica?
«Un giorno, purtroppo, c’è stata una brutta lite con mia madre e lei mi ha cacciato di casa. Da quel momento ho deciso che mi sarei dedicato completamente alla musica. Forse quell’episodio mi ha dato la forza di scrivere tutte le canzoni che sentivo dentro».
Hai detto che non eri capito, intendi dalla tua famiglia? In quanti siete e che rapporto hai con loro?
«Ho una richiesta: non voglio parlare della mia famiglia».
Va bene. Ma ci dici se hai dei fratelli?
«Ho due fratelli, un maschio e una femmina».
Da piccolo ci andavi d’accordo?
«Loro mi hanno cresciuto perché i miei genitori lavoravano tutto il giorno e tornavano a casa molto tardi. Sono stati la mia guida, soprattutto mia sorella, è la maggiore dei tre».
In quale quartiere di Roma hai vissuto?
«Ho sempre abitato a Roma centro, in un quartiere bellissimo».
Vivere nel tuo quartiere ha influenzato le scelte che hai fatto?
«Puoi trovare il tuo spazio (Fasma in realtà dice bolla mentale) sia che tu viva in una realtà del centro di una città sia in periferia … Io non ho mai dato peso al livello sociale di una persona ma al suo pensiero e alle sue idee. Anche se ho vissuto in centro e mi consideravo un privilegiato, ho avuto la fortuna di frequentare tutti i quartieri di Roma e sono grato soprattutto ai suoi abitanti perché anche se diversi, noi romani abbiamo un unico valore che ci accomuna: l’accoglienza. Sono pienamente convinto di questa affermazione perché ho vissuto Roma al 100%».
Sei legato al tuo quartiere?
«Sì, molto. Mi fa impazzire, è stato importantissimo. In realtà mi fa impazzire la città di Roma. Ho un rapporto speciale con questa città, ho un legame romantico. Anche se mi perdo, non mi sento mai smarrito».
Invece, il tuo primo ricordo legato alla musica qual è?
«La volta che sono andato a registrare la mia prima canzone, avevo 14 anni. È stata la prima cosa che ho fatto tutto da solo: avevo messo da parte i soldi, ho preso l’autobus per recarmi in questo studio un po’ fuori città. Sono andato lì da solo perché volevo che fosse un’esperienza tutta mia, da non condividere, qualcosa che nessuno potesse toccare e che fosse legata solo a me. Questo è stato il mio punto di partenza».
Invece, un episodio che ti è capitato e che hai trasformato in musica?
«È una cosa molto privata che non voglio raccontare… però posso dirti che, a volte, sono riuscito a portare a galla ricordi di persone che non ci sono più o di cui mi ero dimenticato. E poi anche l’episodio della lite con mia madre, lei mi ha cacciato di casa e da quel momento ho deciso che mi sarei dedicato completamente alla musica. Forse, mi ha dato la forza di produrre tutta la musica che poi è uscita».
Come hai conosciuto GG e Tommy?
«È una lunga storia. Ma ti posso dire che la prima canzone che abbiamo registrato insieme è stata disco d’oro. L’abbiamo registrata in macchina, andavamo ancora a scuola ma quel giorno abbiamo bigiato, ehm, forse è meglio non scriverlo… non è un buon esempio… Beh, finisco. I nostri mezzi erano realizzati con il minimo dell'attrezzatura: un computer, le cuffie del telefonino e le casse della macchina. Con il tempo abbiamo creato una nostra casa discografica».
Raccontaci come avete fatto.
«Un giorno eravamo a casa di un nostro amico, chiamavamo quest’appartamento “1408”, mi ricordo che eravamo tutti seduti in cerchio e parlavamo ognuno della propria realtà e di come volevamo cambiarla. A un certo punto uno di noi disse: “dobbiamo fare qualcosa insieme perché siamo un branco”. Effettivamente tutto questo aveva un senso, noi siamo come un branco di lupi che si sono scelti e come tali abbiamo deciso di chiamare la nostra casa discografica Wfk dal film The Woolfpack. Quello che io invito a fare non è di diventare squali e mangiare i propri simili ma trovare il proprio branco, se ci si sente dei lupi solitari. Noi siamo un gruppo di fratelli, ma di madri differenti: siamo una famiglia».
Oggi che sei più conosciuto com’è cambiata la tua vita?
«Non è cambiato nulla, devo fare ancora tantissimo. Ho ancora “fame”, sono uscito da Sanremo con il doppio della fame che avevo: è una lotta con me stesso. Io sto bene solo quando sono sul palco. Per il resto ancora non so chi sono, non sono ancora felice e sereno e ho tanto da dire, anche a me stesso».
Invece ti piace viaggiare?
«Sì, ma ho la paranoia dell’aereo. Una cosa bella del mio lavoro è che mi ha permesso andare in posti diversi. Per esempio, l’anno scorso, con i miei risparmi sono tornato sulla neve, non ci andavo da 10 anni, è stato bellissimo. E poi sono andato anche a New York».
Come trascorri questi giorni di quarantena?
«Mi tengo impegnato a cercare nuove idee, leggo e gioco alla play. Penso che se ognuno di noi, in questi giorni di isolamento, si impegnasse a portare avanti il proprio sogno, alla fine della quarantena potrebbe nascere qualcosa di bello. Per questo invito tutti a sognare per riuscire di mettere in atto le vostre idee nel momento in cui si potrà uscire di nuovo».
Hai cambiato casa o vivi sempre nella stessa?
«Prima che succedesse questa pandemia ne stavo cercando una una nuova, per ilk momento non posso muovermi, ma sono sicuro di una cosa, deve essere a Roma».
Come trascorri questi giorni di quarantena?
Mi tengo impegnato a cercare nuove idee, leggo e gioco alla play. Penso che se ognuno di noi, in questi giorni di isolamento, si impegnasse a portare avanti il proprio sogno, alla fine della quarantena potrebbe nascere qualcosa di bello. Per questo invito tutti a sognare per riuscire di mettere in atto le vostre idee nel momento in cui si potrà uscire di nuovo.
IDENTIKIT:
Piatto preferito: carbonara
Animale preferito: lupo
Superpotere: controllare il tempo
Città preferita: Roma