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Ekgmowechashala, l’incredibile storia dell’ultimo primate del Nord America

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Ekgmowechashala, l’incredibile storia dell’ultimo primate del Nord America
Kristen Tietjen, scientific illustrator with the KU Biodiversity Institute and Natural History Museum

Nel Nod America viveva un piccolo lemure chiamato Ekgmowechashala che nella lingua dei Sioux significa “piccolo uomo gatto”.

Una specie simile al lemure, chiamata Ekgmowechashala (nella lingua dei Sioux significa “piccolo uomo gatto”, nda), ha a lungo intrigato i paleontologi. Era l’ultimo resto dei primati nordamericani o era un primate emigrato da qualche altro luogo? E come era riuscito a sopravvivere nelle condizioni che cancellarono gli altri primati del continente 4 milioni di anni prima? C’è ancora molto da conoscere, certo, ma secondo un nuovo studio abbiamo finalmente freschi indizi sulle possibili origini dell’Ekgmowechashala.

Ekgmowechashala, nella lingua Sioux significa piccolo uomo gatto

I ricercatori conoscevano l’esistenza dell’Ekgmowechashala fin dagli anni ‘60, spiega la paleontologa e autrice Kathleen Rust dell’Università del Kansas. Finora la nostra conoscenza si è basata sugli scarsi resti fossili, soprattutto denti e mascelle. Nonostante fossero pochi, questi fossili sono così peculiari, nota Kathleen Rust, da alimentare sia il fascino che la frustrazione nei ricercatori. “A causa della sua morfologia unica e della sua rappresentazione solo attraverso i resti dentali, il suo posto nell’albero evolutivo dei mammiferi è stato oggetto di contesa e di dibattito”, afferma Rust.

Gli esperti sono ora generalmente concordi nell’affermare che l’Ekgmowechashala era un primate, aggiunge Rust, sebbene molte questioni restino sospese. Il momento e il modo della sua comparsa nell’America del Nord, ad esempio, sono “piuttosto insoliti”. “Esso appare improvvisamente nei resti fossili delle Grandi Pianure (regione dell’America del Nord, fatta di praterie e steppe, che si estende ad est delle Montagne Rocciose negli Stati Uniti e nel Canada e ha la superficie di circa 2.800.000 chilometri quadrati, nda) dopo oltre 4 milioni di anni dall’estinzione di tutti gli altri primati dell’America settentrionale”, spiega Rust.

I primati comparvero in Nord America 56 milioni di anni fa

La prima comparsa dei primati nei resti fossili in America del Nord coincide con l’alba dell’Eocene, intorno a 56 milioni di anni fa, all’incirca la stessa epoca in cui sono apparsi in Asia e in Europa. Essi prosperarono nell’America del Nord per più di 20 milioni di anni, spiega Chris Beard, paleontologo dell’Università del Kansas. Ma circa 34 milioni di anni fa, dice, l’Eocene lasciò il posto al clima più freddo e secco dell’Oligocene, che provocò l’estinzione dei primati nativi dell’America settentrionale. “Diversi milioni di anni prima, l’Ekgmowechashala apparve come un pistolero alla deriva in un film Western, come un bagliore nella lunga traiettoria dell’evoluzione”, dice Beard.

Il primate migrò in America dalla Cina

I ricercatori hanno ricostruito l’albero familiare dell’Ekgmowechashala – una ricerca aiutata dalla scoperta di un ancor più antico “taxon gemello” (taxon, in biologia, significa specie, genere, famiglia, nda) in Cina.
I ricercatori lo chiamarono Palaeohodites (che significa “antico vagabondo”), e ha risolto il dilemma di come Ekgmowechashala fosse finito in America del Nord, in base al nuovo studio. Era migrato dalla Cina, sostengono i ricercatori, non era un disperso né un ritardatario della precedente e prospera comunità di primati del Continente. “La nostra analisi dissipa l’idea che Ekgmowechashala sia un resto o un sopravvissuto dei primi primati del Nord America”, afferma Rust. “Era invece una specie che si sviluppò in Asia e migrò verso l’America del Nord durante un periodo sorprendentemente freddo, verosimilmente attraverso la Beringia (ponte di terra dello stretto di Bering, che collegava l’Alaska e la Siberia durante le ere glaciali del Pleistocene, nda).”
Beard era tra gli scienziati che scoprirono i fossili rassomiglianti all’Ekgmowechashala negli anni ‘90, mentre lavoravano nella Formazione Nadu a Guangxi, in Cina. Dato che questi antichi primati erano così unici, dice Beard, il significato fu immediatamente chiaro. “Mentre stavamo lavorando là, non pensavamo assolutamente di poter trovare un animale così simile al bizzarro primate dell’America del Nord, ma appena trovai la mascella e la guardai, pensai “Wow, è lui!”, racconta Beard.

Il fossile Palaeohodites assomiglia al caratteristico molare superiore di Ekgmowechashala, dice, ma erano necessarie maggiori analisi. “Raccogliemmo una sostanziosa quantità di dati morfologici per creare un albero evolutivo usando un software di ricostruzione filogenetica e algoritmi”, spiega Rust. L’albero familiare risultante “suggerisce una stretta relazione evolutiva fra il nord-americano Ekgmowechashala e il Palaeohodites della Cina”, aggiunge. “I risultati delle nostre analisi supportavano inequivocabilmente quest’ipotesi”.
Ekgmowechashala verosimilmente migrò dall’Asia verso l’America del Nord attraversando la Beringia – uno dei cammini che gli umani poterono usare per raggiungere le Americhe circa 25 milioni di anni dopo la scomparsa dell’Ekgmowechashala.

Come ha resistito ai cambiamenti climatici? Importante capirlo per noi moderni, che abbiamo causato il cambiamento climatico. Mentre Ekgmowechashala e i primi primati dell’America del Nord si trovarono di fronte ai naturali cambiamenti climatici, la loro storia potrebbe ancora offrire ottime idee all’attuale lotta dell’umanità contro il cambiamento climatico che essa stessa ha provocato, sostiene Rust.
“È cruciale comprendere come il biota (l’insieme degli esseri viventi in un luogo, nda) passato abbia reagito a simili cambiamenti”, dice, sottolineando che “o gli organismi si adattano ritirandosi in regioni più ospitali con risorse disponibili, o si estinguono.”

Circa 34 milioni di anni fa, il clima dell’America del Nord cambiò troppo rapidamente per permettere ai primati nativi di adattarsi. “Ciò sottolinea l’importanza di risorse accessibili per i nostri parenti primati non umani durante i periodi di drastici cambiamenti climatici”, dice Rust. “Capire questa narrazione non solo è un fatto di umiltà, ma ci aiuta anche ad apprezzare la profondità e la complessità del dinamico pianeta in cui abitiamo”, aggiunge. “Ciò ci permette di cogliere le intricate opere della natura, il potere dell’evoluzione nel dare origine alla vita e l’influenza dei fattori ambientali.”
Lo studio è stato pubblicato nella rivista “Journal of Human Evolution”.

Fonte: Sciencealert