Ea venerdì scorso la capitale del Cile, Santiago, è diventata il teatro di un'ondata di proteste che ben presto è degenerata in violenti scontri tra le folla e le forze dell'ordine. Ad oggi sono già 15 le vittime accertate che sono rimaste uccise nel corso dei tanti tafferugli urbani e il numero dei feriti continua ad aumentare, così come quello degli arresti, già vicini a quota 2.000.
Ma quali sono i motivi dietro a questo dissenso? Perché il governo cileno è sotto accusa? Facciamo il punto della situazione.
LO SCOPPIO DEL MALCONTENTO
Tutto è cominciato circa due settimane fa, quando l’approvazione di una legge che aumentava il prezzo del biglietto della metropolitana di Santiago del Cile (da 800 a 830 pesos, l'equivalente di un passaggio da 0,98 centesimi ad 1,03 euro) ha provocato forti malumori tra la popolazione. Lo stipendio medio di un lavoratore cileno infatti non è molto alto e il rincaro di un servizio fondamentale come il trasporto pubblico è apparso come un salasso insopportabile.
La rabbia è montata velocemente e nonostante lo scorso weekend il presidente conservatore Sebastián Piñera avesse sospeso la legge "incriminata", ma la miccia dell'insoddisfazione era stata innescata e la gente ha continuato a manifestare: il "tappo" ormai era saltato e alle lamentele per il caro-biglietti si sono rapidamente aggiunte quelle per il costo della vita, gli scarsi fondi riservati all'istruzione e, soprattutto, le molte diseguaglianze sociali tra ricchi e la classe media.
L'EVOLUZIONE VIOLENTA DELLA PROTESTA
Tra sabato 19 e domenica 20 ottobre dunque, il dissenso si è trasformato in guerriglia urbana, con migliaia di cittadini che hanno iniziato ad assaltare edifici e luoghi pubblici, incendiando il palazzo dell'Enel e infrangendo le vetrine dei negozi. Ad aizzare ancora di più la folla anche la diffusione di alcune foto che ritraevano il presidente Piñera godersi una festosa cena per il compleanno del nipote mentre Santiago iniziava a sprofondare nel caos.
La situazione è diventata presto insostenibile e il governo ha deciso di imporre lo stato d'emergenza in 16 regioni, affidando l'intera gestione degli scontri ai militari, i carabineros, i quali hanno cominciato a caricare le masse e a reagire duramente alle azioni dei manifestanti.
«Siamo in guerra contro un nemico potente, che è disposto a usare la violenza senza alcun limite» ha dichiarato pubblicamente Piñera, che ha anche approvato il coprifuoco, ossia il divieto di uscire di casa dopo un certo orario.
UNA RIVOLTA INASPETTATA, MA NON TROPPO
Il Sudamerica, a parte rare eccezioni, non sta attraversando il suo momento storico più florido, eppure proprio il Cile è una delle società più salde del continente, con un buon punteggio nella qualità della vita e nella lotta al crimine (Fonte: OCSE). Per questo molti sono rimasti sorpresi dall'improvvisa esplosione di rabbia e violenza.
Eppure sotto le ceneri qualcosa covava da tempo.
Nel 1990 Cile era uscito dal periodo più duro della sua storia. Dal 1973 alla fine del 1989 infatti il Paese era stato governato duramente dal dittatore Augusto Pinochet, il quale aveva preso il potere con un golpe - un colpo di stato - supportato da parte dell'esercito cileno e dai servizi segreti americani. Sotto Pinochet, oltre 30.000 oppositori del governo vennero arrestati, torturati ed uccisi.
Con il ritorno alla democrazia, la pur traballante nazione cilena era riuscita a rimettersi in piedi, diminuendo la povertà e migliorando la qualità della vita dei cittadini.
Eppure nemmeno lo storico cambio di direzione riuscì ad eliminare le grande diseguaglianze che in Cile perdurano fin dai tempi delle colonie spagnole, quando la società venne divisa tra proprietari terrieri e lavoratori (i peones). Anche oggi quindi i poveri - anche se "meno poveri" rispetto a qualche anno fa - continuano a guadagnare molto meno e avere accesso a molte meno opportunità rispetto al ceto benestante. Da qui lo scoppio della protesta.