Visita il Museo Archeologico Nazionale e teatro romano di Spoleto assieme con Focus Junior e il Mibact, il Ministero per i beni, le attività culturali e il turismo.
Il museo occupa i locali dell’ex monastero di Sant’Agata. Il nucleo originario dell’edificio, di età medievale, fu costruito sulle strutture del vicino teatro romano riutilizzandole in parte. Attraverso i numerosi oggetti provenienti da scavi archeologici, il museo si propone di raccontare la storia di Spoleto a partire da 3.500 anni fa, quando il colle su cui sorge la città comincia a essere abitato. L’esposizione si articola su quattro livelli. Al piano terra sono custoditi i ritrovamenti relativi all’attiguo teatro e alle necropoli di età romana. Al primo piano i reperti raccontano la formazione della città di Spoleto, dal XV sec. a.C. al IV sec. d.C. Secondo e ultimo piano sono dedicati, rispettivamente, alla necropoli umbra di Piazza d’Armi e alla Val Nerina. L’ingresso comprende la visita al teatro romano, del I secolo a.C.
Ottaviano Augusto è stato il primo imperatore di Roma e le statue che lo raffiguravano si trovavano un po’ dappertutto. Anche nel teatro di Spoleto ce n’era una, di cui è rimasta solo la testa. Osservala: è il viso di un giovane tra i 20 e i 30 anni. Per questo gli studiosi pensano che sia stata realizzata prima che lui diventasse imperatore. Anche nei ritratti successivi, però, Ottaviano ha sempre un aspetto giovanile e privo dei segni dell’età: e pensare che è vissuto quasi 80 anni!
Tra le decorazioni del teatro c’era anche questa statua greca, del V sec. a.C., che in origine doveva essere collocata sulla sommità di un tempio o di un altro grande edificio. Raffigura una giovane donna investita dal vento: per effetto del soffio, la veste aderisce al corpo e si raccoglie in pieghe sul retro. La figura è leggermente protesa in avanti, come se stesse per spiccare il volo. Potrebbe essere un’Aura, la divinità con cui i Greci raffiguravano il venticello leggero, oppure una Nike, personificazione alata della vittoria.
Il vaso biconico è un vaso molto antico, che risale addirittura all’ultimo periodo dell’età del bronzo (XI sec. a.C.). La decorazione, molto ricca, rappresenta uccelli a due teste stilizzati, eseguiti incidendo con una punta arrotondata una serie di linee e punti sull’argilla ancora umida, prima della cottura. Sia la decorazione sia la grandezza del vaso, modellato a mano, indicano che fu fabbricato da un artigiano molto esperto. Vasi di questo tipo venivano usati per contenere le ossa bruciate e le ceneri dei defunti.
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L’iscrizione che vedi nella foto riporta il testo di una legge del III sec. a.C. È la cosiddetta Lex Spoletina: incisa su due cippi di pietra, stabiliva che alcuni boschi intorno a Spoleto, che un tempo erano numerosi e molto estesi, dovevano essere conservati integralmente perché sacri a Giove. Si poteva prelevare legna solo una volta all’anno, nel giorno del sacrificio al dio, ma per il resto era vietato profanarli. È il primo esempio che si conosca di una normativa a tutela delle foreste!
Con lo scettro hai davanti a te il simbolo stesso del potere! È appartenuto al più antico re di Spoleto e l’artigiano che l’ha fabbricato, più o meno 2.600 anni fa, ha usato una tecnica molto difficile, che unisce ferro e bronzo. Sul brillante fondo di bronzo risaltano le figure di ferro, più scure, in cui si riconoscono un cavaliere e degli animali, uno dei quali è raffigurato in maniera assai fantasiosa, come un cavallo a due teste.
Due teste di cavallo che si fronteggiano a formare un manico e quattro “paperelle” mobili, inserite su protuberanze forate. È l’esuberante decorazione di questo coperchio, ciò che rimane di un vaso andato perduto, che faceva parte di un corredo funebre. Sulle due teste equine e intorno al bordo sono applicate sottili striscioline di stagno, che ora sono opache ma che in origine dovevano risaltare per la loro lucentezza.
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Un oggetto straordinario trovato in una tomba fuori del comune, composta da ben tre stanze: è il letto funebre in osso. Il manufatto proviene dall’antica necropoli di Norcia, era decorato con grandi teste di leone dall’abbondante criniera e testine femminili dalla ricca acconciatura, sulle quali risaltano gli occhi di pasta vitrea bianca e nera. Le gambe erano rivestite da lastrine in parte lisce e in parte decorate. Probabilmente apparteneva a una famiglia molto ricca e importante.
Presso i Romani, l’anfora era il “contenitore standard” per il trasporto degli alimenti. La forma variava a seconda del tipo di cibo che doveva contenere: quella che vedi serviva per la frutta secca. Le anfore a punta, come questa, venivano stivate nelle navi, mentre quelle con fondo piatto servivano per il trasporto via terra.
Nell’antichità, le lucerne erano il mezzo di illuminazione più diffuso. Erano in ceramica, più raramente in bronzo: attraverso il foro centrale si versava l’olio che, per mezzo di uno stoppino, bruciando produceva la fiammella. Oltre che nelle case e nei luoghi pubblici, spesso erano deposte nelle tombe, quali simboli di vita e guida per il defunto nel regno dei morti. Questa, decorata con una serie di archetti, è stata trovata in una tomba a camera.
I Romani collocavano le sepolture fuori città, lungo le strade principali, e le segnalavano con piccoli monumenti in pietra. Quest'edicola funeraria, del I sec. d.C., ha la forma di un tempietto: la nicchia al centro conteneva le ceneri del defunto o forse il suo ritratto: dall’iscrizione sappiamo che si trattava di una liberta, cioè una schiava liberata, di nome Atieda.
A fianco del museo c’è un teatro Romano del I sec. a.C.. Qui si recitavano drammi, commedie e opere comiche e musicali. Gli spettatori si sedevano sulle gradinate, mentre gli attori recitavano sul palcoscenico, sullo sfondo di un muro decorato. Completamente restaurato, è usato ancora oggi per spettacoli e concerti!
Hai notato come sono finemente lavorate le tre gambe di questo tavolino? È un oggetto raro, trovato in una tomba del VII sec. a.C. insieme ad altri reperti preziosi. Facevano tutti parte del corredo funerario di una persona agiata e importante. Sicuramente una donna, visto che oltre ai vasi ci sono spille (fibule), bracciali a spirale (armille) e speciali fermagli usati per comporre elaborate acconciature (fermatrecce).
Osserva bene questa collana del VI secolo a.C. Sulla catena sono applicati dei pendenti di forma allungata, che si reggono ai rispettivi anelli con... una piccola manina chiusa a pugno! La mano aveva un significato di buon augurio e veniva riprodotta con funzione di amuleto, cioè un oggetto capace di allontanare il male. Gioielli come questo, che ornavano le donne in vita, le accompagnavano poi nella tomba, dopo la morte.
Il sonaglio è stato trovato nella tomba di una bambina. È realizzato con una sottile lamina di bronzo e al suo interno ci sono ancora i sassolini inseriti 2.600 anni fa per produrre un suono quando lo si agitava. Ma non era un giocattolo: si trattava piuttosto di un oggetto rituale, utilizzato dai sacerdoti nelle cerimonie religiose.
Anche nell’antichità si usavano gli specchi. Quello che vedi è opera di un artigiano etrusco e nella parte non riflettente ha incisa una decorazione con personaggi mitologici. Le figure maschili rappresentano i Dioscuri, figli di Zeus, mentre le due donne sono forse Afrodite e Minerva.
Ecco dei vasi assai curiosi: non potevano contenere nulla, dato che sono senza fondo, e in più sono a forma di scarpa! Forse servivano per il viaggio nell’aldilà... Infatti, sono stati ritrovati nella tomba di un bambino, uno dei piccoli principi di Spoleto nel VII secolo a.C.
Per le info sul Museo Archeologico Nazionale e teatro romano di Spoleto
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Il Museo Archeologico Nazionale e teatro romano di Spoleto non ha barriere architettoniche, a eccezione di alcuni gradini in zona biglietteria e al terzo piano. Previa richiesta, è possibile seguire percorsi alternativi.
Su richiesta si effettuano laboratori didattici con attività manuali
per il pubblico diversamente abile.