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Intervista a Susanna Tamaro: “La scuola è tutto”

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Intervista a Susanna Tamaro: “La scuola è tutto”
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Colloquio con la scrittrice sul nostro sistema d’istruzione. Non risparmia critiche all’Invalsi e propone il coro contro il bullismo.

Tutti se la ricordano per il bestseller Va’ dove ti porta il cuore, ma Susanna Tamaro, triestina, classe 1957, è soprattutto un’autrice di libri per ragazzi. Scrittrice con la vocazione da maestra non ha mai smesso di appassionarsi di Friedrich Fröbel, Johann Heinrich Pestalozzi, don Lorenzo Milani e Jean-Jacques Rousseau. La scuola in questi anni ha continuato a frequentarla e ora ha deciso di pubblicare un libro che parla proprio di essa: Alzare lo sguardo. Il diritto di crescere, il dovere di educare (Solferino).

Lei scrive di aver pensato che la sua vocazione fosse proprio l’insegnamento. D’altro canto ha frequentato l’istituto magistrale. Ma perché non ha mai fatto la docente?
«Mi hanno bocciata all’esame di Stato: ho fatto il concorso ma non ho superato l’orale. Non ho avuto l’abilitazione. Il mio sogno si è infranto in quell’occasione ma ho continuato a frequentare le scuole da scrittrice. Ho molti amici insegnanti e la scuola è rimasta la mia grande passione. La scuola è tutto».

Dopo tanti romanzi e libri per bambini perché ha deciso di scriverne uno sulla scuola?
«L’idea nasce dal disagio di aver visto nel corso di questi ultimi vent’anni la scuola andare decisamente a rotoli e le prime vittime sono i bambini. La vita sarà loro e se non sono state insegnate le basi della formazione si troveranno con una vita difficile da mettere insieme. Tutto questo succede nella totale indifferenza».

Nel suo libro non risparmia una serie di critiche. Per esempio, se la prende con le crocette e le prove Invalsi.
«Le prove Invalsi sono terribili. Io non sono riuscita a risolverle. Hanno complicato ciò che era naturale e semplice per mancanza di buon senso. Hanno messo cose che sono umilianti. Se non le sappiamo risolvere noi grandi, figuriamoci un bambino. Oggi c’è la cultura delle crocette ma poi a 13 anni non sanno ragionare. Noi a scuola facevamo i pensierini, si inizia da lì per arrivare alla formulazione di un ragionamento. Ma se non li hai mai fatti e hai solo compilato crocette e puntini, non hai messo in atto la tua intelligenza critica, il tuo spirito di osservazione. Forse è più facile far fare crocette ma resta più appassionante chiedere ai bambini i pensierini».

I difensori dell’Invalsi le direbbero che c’è bisogno di un sistema di valutazione della scuola.
«Guardi, io sono nata nel 1957. A casa ho una colf che è mia coetanea. Lei ha fatto solo fino alla quinta elementare ma non fa un solo errore di italiano. All’epoca non c’era alcun sistema di valutazione ma si insegnavano le basi del sapere. Che senso ha valutare se poi le persone non sanno scrivere e far di conto?».

Nella lista delle cose che non vanno ci finisce anche la tecnologia. Lei scrive che “consentire gli smartphone in classe è pura follia”. Non crede che possano essere un aiuto per l’insegnante?
«Il tablet può essere utile, ma accanto ci dev’essere il metodo classico. Lasciare in mano ai ragazzi la tecnologia non basta. Per esempio, scrivere in corsivo è importantissimo perché educa la mente. La coordinazione occhio-mano è fondamentale. Premere solo un tasto significa cancellare neuroni anziché svilupparli. Ci dev’essere sempre una presenza fisica accanto alla tecnologia. Dobbiamo imparare a usarla, non a esserne usati».

Che ne pensa dei voti?
«Capire come si va a scuola attraverso un voto aiuta, ma non bisogna mai umiliare. Io sono stata vittima di grandi sarcasmi da parte degli insegnanti e questo significa tagliar le gambe a una persona. Il voto non dev’essere mai umiliante».

Lei scrive: “La prova del fallimento didattico del modello di insegnamento attuale si rivela immediatamente nello studio delle lingue”.
«Lo studio delle lingue è una catastrofe. Mi chiedo perché non si cambi didattica. Io non ho mai incontrato un ragazzo uscito dalle superiori che sappia parlare la lingua che ha studiato. A scuola si studiano le regole ma non si fa conversazione».

Nel libro si chiede come mai oggi vi sia un numero così alto di alunni con certificazione.
«Io sono nata con una sindrome autistica ad alto funzionamento. All’epoca non si aveva una diagnosi ma c’era una scuola così strutturata da riuscire a farti stare sul binario. La scuola oggi per un bambino con problemi
neurologici come i miei è molto angosciosa perché c’è troppo rumore, quindi peggiora la situazione. Dall’altro lato c’è la tendenza a cavalcare l’abbondanza di disturbi per trovare una scorciatoia. Mi chiedo se alla fine questa facilitazione non sia una trappola. Io per sopravvivere ho dovuto tirar fuori il meglio di me. Nelle classi delle primarie la metà ha un certificato o un’etichetta. Eppure il peso di una differenza condiziona un bambino».

Un’altra riflessione la fa rispetto all’intercultura.
«Sono indignata e meravigliata. I bambini stranieri vengono messi in classi della loro età senza prepararli nella lingua. I bambini stranieri in Germania fanno un anno di lingua e poi vengono inseriti nella loro classe d’appartenenza anagrafica. In Italia c’è un’ipocrita intercultura. È tutto un fatto di risparmio: in questo modo si evitano classi di italiano per stranieri».

Nel libro più che risposte pone domande ma propone anche una soluzione: il coro contro il bullismo.
«Il canto unisce e stempera. Cantare insieme rende felici i bambini. Contro il bullismo vanno fatte cose che riequilibrano il gruppo: il canto è semplice, economico. È la cosa più arcaica che abbiamo dentro di noi ed è un livellatore di umore».

Un’ultima domanda personale. Com’è cambiata la sua vita quando ha scoperto di essere autistica?
«Ho capito di più del mio passato e perché andavo male a scuola. Capirlo mi ha aiutato a mettere a fuoco tante cose. Oggi mi permette di comprendere i bambini che hanno il mio problema. Spesso questi sintomi non vengono capiti e i bambini sono curati inutilmente con i farmaci».

Focus Scuola è il nuovo mensile per gli insegnanti del Gruppo Mondadori, un magazine rivolto a tutti i docenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado, per aiutarli ad affrontare le nuove sfide dell’insegnamento nell’era digitale. La rivista propone approfondimenti sugli ultimi studi scientifici e pedagogici, ma anche idee di buone pratiche sperimentate in Italia e nel resto del mondo dai singoli insegnanti e fornisce spunti su didattiche innovative e sull’uso della tecnologia in classe

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