Focus Scuola

La scuola dell’empatia a Parma

“Una volta si cresceva per opposizione al padre. Oggi la trasgressione non esiste più, si cresce per delusione”. Cita una frase dello psicologo Matteo Lancini il preside dell’Istituto comprensivo Parma Centro, 1250 studenti dai 3 ai 13 anni, divisi in tre plessi.

“Il bambino oggi ha un’infanzia ricca di aspettative ideali -spiega Pier Paolo Eramo – La sua famiglia lo fa sentire unico, un semidio. Poi però arriva il conflitto, drammatico, tra le sue aspettative e la realtà. Ci arrivano bambini e ragazzi che vivono sentimenti di ansia, rabbia, timidezza , talvolta depressione. Negli anni abbiamo visto crescere sempre più la sofferenza interiore di questi piccoli, che in una società destrutturata come la nostra non hanno una direzione, sono spaesati. Abbiamo deciso di provare ad ascoltare e lenire questa sofferenza”.

Ecco, la caratteristica fondamentale di questa scuola è proprio l’empatia.

La capacità di tutti di mettersi nei panni degli altri. Di vederli per davvero. Di comprenderne le difficoltà. Di aiutare. Si respira nei corridoi, traspare in ognuno dei tanti progetti pensati per coltivare quello che qui conta più di ogni altra cosa: il benessere a scuola.

IL DIALOGO CON GLI ALTRI

In quinta D i bambini e la maestra Monica sono seduti per terra, in cerchio: è il consiglio di cooperazione. Si svolge una volta la settimana. Serve per affrontare le dinamiche della classe, per trovare soluzioni condivise. Al centro del cerchio, tre scatole diverse contengono bigliettini mai anonimi: le critiche, le congratulazioni, le proposte.

“Critico Giovanni perché mi ha detto che sono un essere inferiore”. Il messaggio scritto da Stefano viene letto ad alta voce dall’insegnante. E l’autore spiega ai compagni che ci è rimasto proprio male quando ha sentito quella frase. Giovanni viene a sua volta invitato a spiegarsi e precisa di aver detto non che Stefano era un essere inferiore, ma che in quel momento aveva “una mente inferiore” perché era stravolto dalla rabbia.

Stefano ci pensa un po’ su e ammette che è vero, era proprio alterato. Pace fatta.

“Congratulo tutti quelli che hanno giocato a muretto con me perché così io sto rafforzando le amicizie” è scritto su un altro bigliettino. Christian, l’autore, è un bimbo molto timido che in genere se ne sta isolato in disparte. Oggi invece al consiglio racconta di essersi divertito a stare in gruppo. Come vi sentite quando venite congratulati? Chiede la maestra. “Felici” risponde una bimba. “Orgogliosi” aggiunge la compagna. “Bene” ammette, con semplicità, un alunno.

L’IMPORTANZA DELLE EMOZIONI

Ecco, stare bene è il vero obiettivo della scuola. “Vale sia per gli alunni che per gli insegnanti -spiega il dirigente – Noi crediamo che non si possa apprendere nulla senza star bene con se stessi e con gli altri.

E cerchiamo di promuovere il benessere anche dei docenti perché negli ultimi anni il loro livello di stress è aumentato considerevolmente. Devono essere anche un po’ psicologi, assistenti sociali, devono saper gestire i conflitti con le famiglie, occuparsi di quello che succede fuori dalla scuola. La pressione è fortissima, le responsabilità enormi e nessuno li aiuta, nessuno ha attenzioni nei loro confronti”.

Gli insegnanti seguono corsi di formazione con psicologi e partecipano insieme alle loro classi alle sedute di mindfulness proposte grazie alla collaborazione dell’Università di Parma: una sorta di meditazione che aiuta “a buttare via i pensieri cattivi” come ci spiega una ragazzina di seconda C. La sua classe lo scorso anno, in prima media, ha partecipato al laboratorio ACL, Acceptance and committment laboratory. Acceptance, ovvero imparare ad accettare tutte le proprie emozioni. Committment, ovvero l’impegno per imparare a gestirle. Un percorso lungo, 20 ore nel secondo quadrimestre.

“Organizzato dall’Istituto Egle, è stato un momento tutto nostro – racconta l’insegnante di inglese, Elisabetta Rapacciuolo – Al di fuori delle materie.

Migliora notevolmente il clima in classe, riuscendo a inserire nel gruppo sia il bullo sia il timido. Noi insegnanti abbiamo parlato delle nostre emozioni, mettendoci al loro stesso livello, e si è creato così un rapporto di fiducia molto intenso con i ragazzi, quasi intimo, tanto che nel corso del laboratorio sono emerse situazioni anche molto gravi che non sospettavamo neppure. E mai nulla di quanto ci siamo detti qui dentro è uscito da queste mura…”.

A un anno di distanza, i ragazzi hanno ricordato tutti con piacere quei momenti: “E’ servito per conoscerci, per essere amici” dice Luca; “Per conoscere meglio i prof” gli fa eco Marco; “In cerchio parlavamo dei nostri problemi, potevamo sfogarci” dice Viola; “Abbiamo imparato a fidarci gli uni degli altri” commenta Pietro; “Una delle regole era che ogni risposta non è né giusta né sbagliata. Nessuno ci giudicava, nemmeno la prof” conclude Isabella.

IMPARARE SENZ’ANSIA

L’emozione più intensa emersa tra i bambini delle elementari è la paura. “Paura di essere giudicati dai compagni, non dagli insegnanti” rivela la maestra Lucia Cassinari.

Alle medie invece prevale la tristezza, perché magari si è isolati dal gruppo, perché ogni minimo difetto non sfugge alla derisione dei compagni. Due sentimenti terribili e strettamente legati tra loro.

“Per questo alla primaria abbiamo scelto di abolire il voto numerico -spiega Giovanni Cattabiani, referente per le iniziative di didattica cooperativa-. Il carico di stress con cui i bambini arrivano tra i banchi, l’ansia, i livelli di competizione che vivono perfino in famiglia li bloccano. Se sei preda della paura non sei libero di sbagliare, di sperimentare, di apprendere. Togliendo i voti abbiamo liberato alunni e docenti dalla mannaia del giudizio. E il compagno di banco non è più un competitore, ma un alleato”. È evidente che non si può fare a meno di dare una valutazione, ma le forme scelte dall’Istituto Parma Centro sono più rispettose dell’individualità, e della complessità, di ciascun bambino.

“Le nostre schede valutano soprattutto le competenze.

I genitori trovano al posto di un solo numero dieci indicatori che rispecchiano meglio le abilità e le difficoltà del proprio figlio. In realtà le nostre schede sono più dettagliate e più rigorose delle pagelle tradizionali”- assicura Cattabiani. A questo si affianca l’apertura di uno sportello psicologico individuale o a gruppi, richiestissimo sia alla primaria che alla secondaria. “Gli alunni ne hanno molto bisogno – spiega la docente di lettere Chiara Zanetti – Nelle famiglie di oggi non si è molto ascoltati”. E con il progetto Adotta un alunno ogni insegnante si prende cura di un bambino in difficoltà magari perché è lasciato troppo solo dalla famiglia, e lo segue nel passaggio alle medie, diventando un punto di riferimento. Molti docenti poi mettono volontariamente a disposizione un’ora quando c’è bisogno, per colloqui con i ragazzi sia su problemi scolastici che su problemi relazionali.

COOPERAZIONE AL POSTO DELLA COMPETIZIONE

Classe 3F, lezione di italiano. I ragazzi sono divisi a gruppi, i banchi a isole. Esaminano testi scritti singolarmente e corretti in gruppo. È la didattica cooperativa. “Sono due gli obiettivi – spiega la professoressa Franca Guerra – Attivare chi è in difficoltà, che nel gruppo si sente meglio spronato e tutelato. E potenziare le competenze sociali, la capacità di collaborare, di confrontarsi”.

La lezione è una consulenza alla pari: i ragazzi si scambiano dubbi, chiedono e danno risposte, sottolineano punti di forza e debolezza dei testi scritti dai compagni.

“Investiamo moltissimo sull’educazione peer to peer -racconta Zanetti – A volte gli studenti comprendono molto meglio un argomento ostico se a spiegarlo è un coetaneo o un ragazzo appena più grande”. Così, gli allievi del vicino liceo linguistico seguono i ragazzini in difficoltà aiutandoli a fare i compiti, tutti i pomeriggi e gratuitamente grazie all’alternanza scuola-lavoro.

“Funziona soprattutto grazie all’empatia – spiega Cecilia Del Chicca, insegnante di sostegno e di scienze motorie – Questi studenti non sarebbero mai tornati a scuola al pomeriggio per fare i compiti, neppure con il loro insegnante preferito. Invece, si sono create straordinarie alchimie con i liceali. La ragazzina “perduta” , considerata irrecuperabile, si è alleata con la liceale “sfigata”, vittima di bullismo… insieme sono diventate forti, belle e positive. Noi adulti non saremmo mai stati in grado di ottenere un risultato così”.

È prevista anche l’assistenza pomeridiana per i DSA offerta da esperti, con un piccolo contributo da parte delle famiglie.

“Lo scorso anno è arrivato un educatore bravissimo che ha svolto qui da noi il servizio civile. Ha attivato un laboratorio estivo molto gettonato in cui i ragazzi hanno creato una web radio, meditato con yoga e mindfulness, fatto i compiti, giocato” racconta Zanetti.  Durante l’anno questo educatore ha coordinato il servizio di potenziamento pomeridiano e per alcuni ragazzini ha fatto davvero la differenza. Thomas, in gravi difficoltà, con una bocciatura già alle spalle, ha trovato in lui un confidente e un amico. “Mi ha aiutato in tutto -racconta – Ci parlavo sempre, pure nei momenti tristi. Lui mi diceva di non mollare mai. Con lui facevo discorsi profondi, più che con i compagni o i prof. Mi liberavo, mi sfogavo. E lui mi capiva”.

VOLOTARIATO: UNO STRUMENTO DIDATTICO

All’istituto Parma Centro è stato attivato anche un progetto di service learning, un’attività sociale con ricadute sulla didattica. A piccoli gruppi, i ragazzi sono andati a servire alla mensa della Caritas. E gli allievi della sezione musicale hanno allietato con un concerto gli ospiti di una casa di riposo della città.

“Abbiamo anche creato laboratori di inclusione pensati per i ragazzi BES e disabili – racconta Del Chicca – Per valorizzare le loro capacità che all’interno della classe faticano a emergere.

Giocomotricità, arte ed espressione, tessitura con telai a mano, musica con il metodo Figure notes, falegnameria, panificazione, riparazione di biciclette…”. Gli insegnanti di sostegno portano fuori dalla classe per le varie attività l’alunno disabile sempre insieme a un compagno.

“A turno tutti sperimentano i laboratori. Si crea una relazione empatica: i compagni comprendono le difficoltà dei loro compagni disabili e s’inventano strategie fantastiche per aiutarli” spiega Del Chicca. “Non li vedi mai ridere di una disabilità -aggiunge Chiara Zanetti-. Mai. Neppure il più sciocco o il bulletto della classe”.

“I ragazzi qui imparano a stare insieme -commenta Pier Paolo Eramo, il dirigente – È il lascito sociale più grande che possiamo fare alle famiglie che ci hanno affidato i loro figli”.

This post was last modified on 23 giugno 2021 14:33

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Published by
Niccolò De Rosa

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