Giulia? Presente. Giordano? Presente. S.? Presente!
Tante piccole finestrelle si uniscono a comporre un puzzle di venticinque pezzi sul monitor del computer.
Emanuela, al suo primo incarico come maestra prevalente, è collegata dalla sua camera e i suoi ventiquattro piccoli alunni di prima elementare la seguono ognuno da casa propria. È il 17 marzo 2020 e il nostro Paese è in piena emergenza Coronavirus.
Per contenere il diffondersi della pandemia il MIUR ha predisposto la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado. Ogni istituto ha adottato misure differenti per cercare di mantenere una continuità scolastica, che non è solo legata al proseguimento dei programmi ministeriali, ma anche a mantenere attivo il concetto di classe, soprattutto tra chi ha iniziato la scuola solo lo scorso settembre.
S COME SPERANZA
I bambini si sa, ci sorprendono sempre, ma nella prima elementare dell’Istituto paritario bilingue Cuore Immacolato di Maria-S.Orsola-Dedalo di Roma, c’è una biondina con la erre morbida ci stupisce. È S. e sta combattendo la sua battaglia verso un pericolo ancor più grande del Coronavirus.
Nei mesi passati ha alternato la scuola tradizionale a quella in ospedale, dalla sua stanza del Bambino Gesù. Da più di un mese, prima che tutta l’Italia si fermasse, che le scuole chiudessero, lei ha vissuto il suo isolamento, non solo scolastico, ma anche sociale a causa di un nuovo ricovero. Poi arriva il COVID-19 e con esso tutta una serie di cambiamenti al nostro vivere quotidiano, alle nostre abitudini di vita, troppo spesso date per scontate.
La scuola si riorganizza e propone di riprendere il programma scolastico con video lezioni della durata di 40 minuti, alternate a momenti di lavoro autonomo. Così tutti gli alunni tornano in classe. E questa volta c’è anche S. che ritrova i suoi compagni che è di nuovo un’alunna tra altri alunni, dimenticando per quei 40 minuti di lezione di essere solo una paziente. La maestra la coinvolge come tutti, senza alcuna differenza. I bambini la riaccolgono come se non si fosse mai allontanata. È ancora in ospedale, ma dal 17 marzo si sente meno sola. Il suo isolamento è stato rotto.
Questo nuovo metodo di fare scuola forse la ha la capacità di superare gli isolamenti individuali, che possono essere legati sia a emergenze di massa, come il COVID-19, sia individuali, dovuti a malattie che costringono i bambini a lunghi periodi di ricovero. Ha il pregio di conservare la vicinanza tra i bimbi, l’integrità del gruppo classe, anche senza il contatto fisico, laddove questo è vietato per ragioni di sicurezza, ma rinvigorendo quello emotivo e psicologico.
«La sensazione di gioia che ho provato nel vedere Silvia fare lezione insieme ai compagni non è stata data dalla lezione. Quella avrei potuto improntargliela anche io, o la maestra dall’ospedale. L’aspetto che mi ha riempito davvero di gioia è stata vederla di nuovo in mezzo ai suoi compagni, vedere il suo visetto in quel riquadro accanto a quello di Matteo, Caterina, Giorgio - Dice emozionata la mamma di S., sempre con lei in ospedale - Senza l’intuizione e la voglia di fare della scuola, dei suoi maestri, che sono sempre stati vicino a S., questo cambiamento non si sarebbe verificato».
Si dice che nelle situazioni di crisi bisogna impegnarsi a trovare il lato positivo, un nuovo punto di vista sulla vita che ci aiuti ad accettare una situazione per quella che è e andare avanti, trovando un nuovo start. L’esperienza di video didattica vissuta da una alunna come S. ci aiuta a riflettere, ci sta dimostrando che anche grazie a un utilizzo intelligente della tecnologia è possibile far dialogare in modo brillante due termini tra loro opposti: isolamento e socializzazione.
Testo di Anna Catalano