«Ho insegnato storia per quarant’anni. E ho sempre cercato di spiegare ai ragazzi che cos’è la guerra. Senza mai riuscirci veramente. Finché non ho proiettato in classe un film straordinario come La grande guerra (1959, Mario Monicelli). Ed ecco, i ragazzi finalmente hanno capito. Lo si vedeva dagli occhi lucidi, dai visi intenti».
Fabio Mantegazza, insegnante di lettere della scuola secondaria di primo grado, è un esperto di cinema. Da quasi un lustro coltiva una passione per il grande schermo che molto spesso si è rivelata preziosa per la sua professione. Per Mondadori Scuola ha curato Il cinema in cartella, inserto di un’antologia per la scuola media, La palestra del lettore.
«Gli insegnanti possono utilizzare il cinema sostanzialmente in tre modi differenti. Il primo è affrontare il linguaggio cinematografico come un linguaggio a parte, autonomo nella sua dignità, con le sue proprie regole. E quindi educare i ragazzi alla lettura di un film. Il secondo è coinvolgerli nella realizzazione di un cortometraggio. Il terzo: utilizzare i capolavori del cinema come supporto all’attività didattica, per arricchire le informazioni, allargare il campo, affrontare alcuni temi».
RACCOGLIERE LE EMOZIONI
Per una classe di preadolescenti è perfetto, ad esempio, Stand by me, il film del 1986 diretto da Rob Reiner e tratto da un racconto di Stephen King. C’è tutto: il gruppo, l’amicizia, l’avventura, la crescita, il bullismo. E arriva dritto alla testa e al cuore dei ragazzi.
«Il cinema ha caratteristiche peculiari che lo rendono ovviamente diverso dalla pagina scritta» spiega Fabio Mantegazza. «Va a toccare immediatamente le nostre corde emotive. Suscita commozione, empatia, capacità di immedesimazione nelle sorti degli altri con una forza dirompente. Non sempre gli altri mezzi di comunicazione riescono ad avere un uguale impatto, in particolare sugli adolescenti». I ragazzi però non vanno mai lasciati soli davanti a un film. «Bisogna analizzare, mediare. Tornarci su. Serve anche un’introduzione ma deve essere breve e scarna. Dobbiamo dare meno anticipazioni possibile, per non rischiare di sminuire l’impatto che la storia avrà sui giovani spettatori. A volte basta mostrare la locandina e magari chiedere ai ragazzi che cosa si aspettano. Poi, buio in sala e via alla magia».
Il grosso del lavoro, secondo Fabio Mantegazza, va fatto dopo la proiezione. Ed è un lavoro incentrato soprattutto sulle emozioni.
«Non chiedo mai ai ragazzi se il film è piaciuto. Piuttosto traccio una linea sul pavimento della classe con una gradazione da uno a dieci. E chiedo agli alunni di posizionarsi fisicamente lungo questa linea di gradimento, nel punto che preferiscono. Consente di visualizzare immediatamente com’è andata la proiezione. Garantisce anche la sorpresa di trovarsi, magari, al proprio fianco il compagno più antipatico e invece parecchi punti più in là l’amico del cuore».
Naturalmente il professore poi chiede ai ragazzi di spiegare perché si sono posizionati esattamente in quel posto, ottenendo giustificazioni dei loro giudizi certamente molto più complesse di un banale «Mi è piaciuto». «Passo poi a una sorta di brain storming. I ragazzi devono dire ciascuno una parola che per loro è associata alla visione del film, possibilmente non un aggettivo. Le segno tutte alla lavagna e lavoriamo sull’associazione di idee finché non arriviamo a comprendere a fondo il significato dell’opera cinematografica appena vista».
AFFRONTARE TEMI SOCIALI
Il cinema aiuta senza dubbio ad affrontare in classe anche molti temi sociali. L’ingiustizia, l’oppressione, le pari opportunità, il razzismo, l’immigrazione.
«Quest’ultimo tema mi è particolarmente caro» confessa Mantegazza. «Da venticinque anni insegno alla sera in una scuola per stranieri a Milano e ho organizzato numerose rassegne cinematografiche dedicate. Per la scuola primaria un lm straordinario è Tutti per uno, di Romain Goupil. Si svolge in Francia. Dopo il rimpatrio di un compagno di classe, una bambina di origine cecena si rende conto che anche lei rischia di subire la stessa sorte e si nasconde in una cantina, protetta dalla solidarietà dei suoi amichetti.
Per le medie, suggerirei Welcome, bellissimo film di Philippe Lioret. La storia di un istruttore di nuoto francese che aiuta un giovane profugo curdo nel suo disperato tentativo di attraversare il canale della Manica per arrivare in Inghilterra». Per temi come questi può essere utile l’archivio del Coe, l’associazione Centro orientamento educativo che dal 1991 promuove a Milano il Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina. Soprattutto per i cortometraggi, che si prestano molto bene alla proiezione in classe: vanno dritti all’obiettivo. E per ragioni di durata a volte sono preferibili.
La scelta dei film da proiettare non è semplice, soprattutto se si vuole sfruttare il linguaggio cinematografico per affrontare temi forti, primo tra tutti la Shoah. Capire quale sia il limite da non oltrepassare con i propri alunni richiede molta attenzione e sensibilità. «E anche il rispetto di una regola a mio modo di vedere categorica» ammonisce il professore.
«Mai mostrare ai ragazzi un lm che noi non abbiamo visto. Non possiamo permetterci di essere superficiali quando in gioco c’è l’emotività dei nostri alunni. Nella valutazione dobbiamo tenere conto di tutti, non soltanto dei più bravi, dei più forti. I diversi gradi di maturazione, particolari fragilità, tutto deve essere posto sul piatto». È chiaro che c’è sempre un grande margine di soggettività, che riguarda sia chi propone sia chi riceve. «Ho fatto anch’io i miei errori» ammette il professor Mantegazza.
«In generale preferisco storie che, pur drammatiche, lascino uno spiraglio, una prospettiva, una speranza. E ho sempre scartato i film troppo diretti. Ad esempio Schindler’s List (1993, Steven Spielberg): un capolavoro ma non me la sento di mostrarlo ai miei alunni. Meglio una pellicola delicata come Arrivederci ragazzi (1987, Louis Malle) dove non si vede una goccia di sangue ma la deportazione dei compagni di collegio ebrei e del prete che li aveva nascosti provoca un’emozione intensissima».
Insomma, bene far prendere coscienza dei fatti e dei problemi ma senza scioccare. «Magari dare un pugno nello stomaco. Mai una mazzata in testa».