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Educazione civica: attiviamo la cittadinanza

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Educazione civica: attiviamo la cittadinanza
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Non basta insegnare i principi astratti della Costituzione, bisogna calarli ogni giorno nella vita della classe e nell’ambiente in cui i bambini vivono

L'introduzione dell’educazione civica come nuova materia è senz’altro una grande opportunità ma, a mio avviso, comporta un rischio altrettanto grande. Il senso dell’apprendere la cittadinanza attraversa tutto il
tempo scuola. Riguarda non soltanto i significati della cittadinanza, nella storia piuttosto che nella geografia, ma nel comportamento reciproco tra i bambini in classe. L’insegnamento dell’educazione civica per sua natura contempla piani diversi: un piano di conoscenze e informazioni, e quello della quotidianità, dei comportamenti sociali.

L'IMPORTANZA DI UN RITO

Si tratta di una didattica complessa e faticosa che deve prendere spunto dagli accadimenti. Arriva in classe
un bambino con bisogni educativi speciali, oppure è avvenuto qualcosa nel mondo, Filippo butta la carta per terra, Pasquale insulta le femminucce: si sospende l’attività in classe e si organizza un circle time per parlare di queste cose, per condividerle. Serve un rituale e deve esserci un tempo dedicato. Bisogna intervenire uno alla volta, mettere in relazione l’argomento con il proprio sentire, il proprio pensare anche in termini cognitivi.

I sentimenti devono potersi esprimere: i dubbi, le incertezze, le diversità. Tutto questo significa fatica, pensiero, attenzione riflessiva da parte del gruppo docenti in azione. Se ciò avviene, allora l’introduzione della nuova materia di educazione civica è una conquista, perché offre una cornice a questo impegno. Se invece la nuova disciplina diventa un alibi per confinarvi ogni cosa, allora il rischio è quello di tornare indietro a 40 anni fa, recidendo il legame fondamentale tra l’insegnamento e la vita. Accade qualcosa di importante in classe, un momento di sofferenza? “Ragazzi, ne parleremo nell’ora di educazione civica”. Quando? “Venerdi prossimo”.

Su questo aspetto dobbiamo porre, tutti insieme, molta attenzione affinché il rischio non si realizzi. È facile che ciò accada, per una relazione più comoda e semplice: non devi interrompere la lezione per fare un ragionamento educativo. Invece lo sforzo dovrebbe essere quello di tenere insieme le riflessioni sul quotidiano e la nostra Costituzione. Non “limitarsi” alla parte formale, ovvero insegnare il dettato della Costituzione, senza soffermarsi su come viene incarnato nella vita concreta di ogni giorno.

TRA IL DIRE E IL FARE

La legge che introduce la nuova materia parla di “trasversalità”. Mi domando: sono stati previsti i tempi e i luoghi per consentire ai docenti di accordarsi su progetti trasversali e verificare insieme, strada facendo, quali sono i risultati e le criticità? Io sono stato insegnante e anche amministratore del ministero dell’Istruzione: quello che si scrive nelle linee guida a volte non trova corrispondenza nella realtà.

L’altro elemento fondamentale dell’educazione civica sta nel rapporto tra la scuola e la civitas, la città. Per esempio, i ragazzini andranno a vedere un consiglio comunale? Si può discutere della pulizia dei giardinetti o chiedere conto del fatto che la raccolta differenziata non è stata attivata in tutti i quartieri?

Il service learning a mio parere dovrebbe essere introdotto fin dalla primaria. Se c’è un cortile o un giardino nella scuola, lo vogliamo curare insieme? I bambini possono prendere una scopa in mano? I ragazzi di seconda media possono salire su una scaletta e pitturare una parete? Non si può fare, perché è contro la norma, è pericoloso? Dobbiamo concludere che la legge è contro l’educazione? Ovviamente no. Ma il problema resta.

L’educazione civica deve insegnare anche il rispetto delle altre culture. Bene, una delle cose che fin dai tempi più antichi favorisce l’incontro tra diversi è mangiare il cibo dell’altro, insieme. Ma dobbiamo per forza comprare le merendine confezionate. Un bambino non può portare neanche la torta di compleanno in classe! Accade solo in Italia, nel resto d’Europa no.

BULLISMO E MONUMENTI

Stiamo attenti, inoltre, al ruolo degli adulti perché sono adulti significativi, sono adulti-guida, soprattutto in queste lezioni di civismo. Ma devono essere loro i primi a dare l’esempio! Se dici a un ragazzino che quando ha torto deve chiedere scusa, quando hai torto tu come insegnante devi ammettere l’errore.

L’autorevolezza si conquista se c’è coerenza tra il proprio comportamento e quello che si chiede ai bambini di fare. Certo, a guardare i talk show televisivi sembra che dobbiamo risolvere noi docenti tutti i problemi dell’umanità; insegnando educazione civica dovremmo far scomparire corruzione e illegalità da questo Paese. Invece c’è un grande lavoro da fare anche con le famiglie. Se Fabio in classe lascia il suo banco in disordine, a casa ci sarà qualcuno che gli chiederà di mettere a posto le sue cose? Infine, voglio segnalare anche un altro aspetto che personalmente trovo fastidioso: la convinzione di alcuni che i “bei progetti”, ora, si fanno grazie all’introduzione di questa norma.

L’educazione civica permetterà di dare più forza a questi interventi, ma non è che prima non si facesse nulla. Abbiamo tantissime scuole italiane che da anni adottano un monumento, in ogni angolo del Paese: un grande esempio di educazione civica. In molte classi si fa già il circle time o i progetti contro il bullismo. Vorrei che tutto questo fosse riannodato all’educazione civica. E mi piacerebbe che la Rai mostrasse le pratiche di cittadinanza attiva legate all’educazione civica.

Penso che gli italiani debbano vedere quello che i ragazzi sono capaci di fare! Ci vogliono palcoscenici, luoghi nei quali si mostrino queste cose non occasionalmente ma regolarmente, in un orario vero, non alle 2 di notte. Se si crea nel mondo della comunicazione questa attenzione, questo rispetto, questo plauso per gli esempi di civismo, allora si fa un ulteriore passo avanti.

SIAMO TUTTI UGALI?

L’introduzione di questa nuova disciplina poi comporta compiti complessi per i docenti. Tra questi, per esempio, l’educazione alla legalità.

In tante aree del nostro Paese, a partire da dove vivo io, parlare di queste cose non è semplice. Nei Quartieri Spagnoli di Napoli un terzo della popolazione ha pendenze penali, alcune molto gravi. Sono parenti stretti dei ragazzini che vanno a scuola: che idea possono avere della legge quegli alunni? Io ho dovuto far scrivere lettere
dai genitori in carcere ai figli per chiedere loro di comportarsi bene. Dunque ci sono zone del Paese dove è più facile parlare di legalità e zone dove è più difficile. E questo ha a che fare con le disuguaglianze. Perché alcuni cittadini non hanno diritto a servizi che in altri posti d’Italia sono garantiti, pur pagando le stesse tasse? I bambini sono attenti, notano queste cose.  L’articolo 3 della Costituzione dice che siamo tutti uguali ma non è vero, e loro lo sanno da quando sono nati.

E lo sapevano perfettamente anche i padri costituenti che infatti, tutti d’accordo, aggiunsero il comma 2 il quale, come diceva Piero Calamandrei, è una smentita del comma 1. I bambini delle zone ricche più protette e quelli delle zone povere devono poter riscoprire, al pari dei costituenti, che siamo tutti uguali ma in realtà non lo siamo e che c’è tanto cammino ancora da fare.

Da vice presidente dell’impresa sociale Con i Bambini, che promuove e sostiene interventi contro i divari nelle opportunità e nei diritti tra i bambini e i ragazzi in Italia – divari enormi che sono, purtroppo, in crescita – vorrei che l’educazione civica significasse anche questo. Vorrei che un bambino dello Zen di Palermo, o di Quarto Oggiaro a Milano, possa arrivare a capire che la Costituzione è bella anche perché ammette che non siamo veramente tutti uguali, che bisogna ancora combattere, che il civismo è l’attivarsi insieme agli altri per rendere sempre un po’ più vero il comma 1 dell’articolo 3.

Se riuscissimo a raggiungere questo obiettivo, allora sì che avremmo dato un senso pieno all’insegnamento dell’educazione civica.