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FocusJunior.itFocus ScuolaCome affrontare la tristezza in classe

Come affrontare la tristezza in classe

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Come affrontare la tristezza in classe
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La tristezza dei bambini va riconosciuta. Noi docenti dobbiamo essere in grado di confortarla, accoglierla e “cullarla” con le nostre parole e con i nostri gesti.

Perdere qualcosa, perdere qualcuno, perdere una relazione che ci faceva sentire bene. Per i bambini, la tristezza è soprattutto un’esperienza di perdita e di separazione: l’impossibilità di non poter permanere in una zona di relazione condivisa con qualcosa o qualcuno che – se c’è e quando c’è – fa la differenza per la sua vita.
Una differenza positiva.

Lucia, sette anni, sta piangendo disperatamente. È appena tornata a casa dalle vacanze e si è accorta di aver dimenticato sull’aereo il suo orsetto adorato, quello che da quando è bambina dorme ogni sera con lei. Il papà prima cerca di consolarla: «Ne compreremo un altro, ancora più bello». Poi, di fronte alle lacrime che sembrano inarrestabili, si arrabbia e le dice: «Adesso basta, era solo un peluche. Non voglio più sentire questi capricci».

Giorgio, nove anni, quando torna a casa da scuola, si accorge che il criceto Joe è molto strano. Non sembra il solito e ha una macchia grigia sul corpo. Che strano, non gliel’aveva mai vista prima. Giorgio non sa che il suo Joe è morto mentre era lui a scuola e la mamma, preoccupata che lui soffrisse troppo, si è precipitata a comprargli un criceto il più possibile simile al vecchio Joe.

Davide, otto anni, deve far fronte a una nuova quotidianità. Mamma e papà si sono appena separati e, in un regime di affidamento congiunto, deve trascorrere tre giorni con un genitore e quattro con l’altro. Questa è la prima settimana e Davide si sente molto stanco a causa di tutte le novità che deve gestire.
Nei giorni trascorsi con il padre avrebbe desiderato rimanere chiuso nella sua stanza. Invece, il papà aveva organizzato così tante attività per distrarlo che quasi non riesce a finire i compiti.

GESTIRE LE EMOZIONI

Lucia, Giorgio e Davide si stanno relazionando in modo intenso – e a ragione veduta – con l’emozione della tristezza. Gli unici che non vogliono che questo avvenga sono proprio gli adulti che dovrebbero, invece, funzionare da allenatori emotivi. La tristezza nei bambini ci spaventa. Non vorremmo mai che loro sperimentassero questa emozione. E allora ci attiviamo per far finta che la tristezza non esista (vedi il caso di Giorgio), oppure facciamo di tutto perché nessuno si accorga che c’è (vedi il caso di Davide). E se proprio un bambino non vuole rinunciarvi (vedi Lucia), allora la facciamo diventare un capriccio. Invece, la tristezza va riconosciuta e condivisa con gesti e parole. Noi adulti dobbiamo essere in grado di confortarla, accoglierla e “cullarla”.

Anche a scuola, spesso, l’idea di noi docenti di fronte a bambini che hanno seri motivi per essere tristi è quella di cercare di distrarli il più possibile. Distrarre un bambino triste va bene, ma solo dopo che quella tristezza è stata vista e confortata. Perché se un bambino è triste e l’adulto di riferimento cerca di convincerlo che quello che sta provando non esiste, l’unica cosa che il bambino sperimenta è la falsità.

Un buon metodo potrebbe consistere nel leggere con la classe le tre storie presenti in questo articolo e, all’interno di un circle time, invitare i bambini a dire che cosa, secondo loro, sta sperimentando il protagonista, di che cosa avrebbe bisogno, che cosa potrebbe dire e fare per portare l’adulto a prendersi cura della tristezza.

Possiamo anche chiedere loro se nella vita si sono mai trovati in situazioni simili e come le hanno affrontate. Non è terapia di gruppo, ma un gruppo che si abitua a condividere e a dare parola ai propri stati emotivi. Anche quelli che generano sofferenza. Perché nella vita c’è tutto: il bello e il brutto. E crescere significa integrare dentro di sé anche ciò che non avremmo mai desiderato vivere e che purtroppo è successo.