GENTILEZZA CERCASI
Vedere qualcuno che sta male, soprattutto un amico, è una delle “molle” che fa scattare l’empatia e ci spinge a consolarlo. Tempo fa alcuni scienziati hanno fotografato con la risonanza magnetica funzionale le aree del cervello coinvolte quando una persona prova dolore e quando prova empatia. Alcune coincidevano!
Prestare un quaderno a un compagno o dare una mano a uno sconosciuto che ha bucato la gomma della bici. Sono azioni semplici che, però, spesso sembrano difficilissime: non abbiamo voglia, tempo, pazienza... Eppure, secondo gli scienziati, fare un favore ed essere altruisti è qualcosa che non fa bene solo agli altri ma anche e soprattutto a noi stessi.
NATI ALTRUISTI
Alla base di questo comportamento c’è l’empatia, un sentimento (tipico del genere umano ma pare anche di alcuni animali) che ci permette di metterci nei panni dell’altro, capire che cosa prova e fare qualcosa per aiutarlo a stare meglio.
Uno studio condotto da Felix Warneken, dell’Università di Harvard, ha dimostrato che questa tendenza ad aiutare il prossimo compare già a 14-18 mesi: i bambini di quest’età sono pronti ad aiutare chi è in difficoltà, senza avere niente in cambio.
Ma perché, allora, quando cresciamo tendiamo a mettere da parte il nostro lato “generoso” e a pensare più a noi stessi?
«Sono le circostanze esterne che ci spingono a farlo», spiega Antonella Cucchi, counselor educativo-scolastico e famigliare presso il CTA di Milano. «Se il nostro altruismo non viene ricambiato, tendiamo a diventare più egoisti. Sbagliando, perché nei gruppi il comportamento del singolo spinge gli altri a imitarlo, specialmente se si tratta di azioni che “fanno bene” anche alla comunità».
ASSICURAZIONE ANTI-BULLO
Essere altruisti può avere anche altri benefici: ad esempio a rilasciare nel cervello una sostanza simile alla dopamina che produce un’immediata sensazione di benessere.
Una ricerca dell’Università Milano Bicocca su bambini di 2 anni, infatti, ha dimostrato che parlare di sentimenti ed emozioni, anche a questa età, abitua a essere più attenti nei confronti degli altri.
«Questo provoca una reazione a catena di gentilezza che scoraggia chi tende ad avere comportamenti da “bullo” all’interno del gruppo», spiega Ilaria Grazzani, docente di psicologia dello sviluppo, che ha condotto lo studio. Sana cattiveria. Ma può capitare che, nonostante gli sforzi di essere gentili, gli altri non ricambino e ci si senta “sfruttati”.
«In questo caso meglio diventare un po’ egoisti», conclude Cucchi. «In fondo rispettare i propri bisogni, prima di quelli degli altri, è altrettanto importante».
Aiutare gli amici è più facile: con chi non conosci puoi essere influenzato dai pregiudizi.
Anche la condivisione del cibo è un atto di altruismo (o gentilezza) che “funziona”. Quando saremo noi ad avere bisogno, infatti, gli altri saranno più portati ad aiutarci. Stesso discorso per il volontariato: aiutare in un’associazione ambientalista o per aiutare le persone bisognose è una forma di altruismo molto “nobile”, perché si pensa al bene degli altri senza chiedere nulla in cambio.
ANCHE GLI ANIMALI SONO ALTRUISTI
Gli animali si aiutano tra loro: ad esempio per procurarsi cibo o per fare grooming, cioè pulirsi e liberarsi dei parassiti a vicenda. Ma si tratta di vero altruismo?
Per molto tempo si è pensato di no ma alcune ricerche sembrerebbero invece dimostrare che anche gli animali sanno essere “gentili” non solo per ottenere qualcosa in cambio.
In uno studio della Emory University di Atlanta (Usa), ad esempio, si è visto che le arvicole della prateria riescono ad avere empatia, cioè la capacità di mettersi nei “panni dell’altro”. In un altro studio della Kwansei Gakuin University in Giappone, invece, hanno osservato che la maggior parte dei ratti scelgie di aiutare un compagno in difficoltà anche dovendo rinunciare a un pezzo di cioccolato.