l tempo sta cambiando. L’altro giorno ho visto lo scatenarsi di una “tempesta di foglie” davanti casa mia. Sono sicuro che ci sia una spiegazione a questo fenomeno, ma dentro di me sento che si tratta di un avvertimento. Un monito che qualcosa stia arrivando: Halloween, la notte delle zucche.
Questa volta mi trovo in una casa di campagna, immersa nei colori autunnali dei campi coltivati dagli agricoltori. Niente castelli popolati da vampiri altezzosi nel raggio di chilometri e chilometri. Il mio ospite ha messo a bollire in un tegamino dell’acqua. Quando sono stato accolto in casa sua, mi ha un po’ deluso: è un signore 80enne, che vive solo.
La sua pelle è segnata dalle intemperie di chi lavora all’aperto, e le sue mani sono piene di calli. Un contadino, ecco chi è il mio ospite, ma bisogna fare attenzione. Se è vero quello che si dice su di lui, allora quest’uomo è molto di più di quel che sembra. Secondo quanto riportato dalle cronache, il contadino che ho di fronte risponde al nome di Thiess, di Kaltenbrunn.
Signor Thiess, innanzitutto la ringrazio per avermi ricevuto nella sua umile dimora, io…
Gradisce del formaggio?
Come? Sì certo, molto volentieri.
Tenga. È frutto del mio lavoro, sa? Io porto il latte al mio vicino, che si diletta a produrlo, e poi me lo porta qui. Questa prelibatezza è la mia gioia.
Ehm… grazie. Ascolti sono qui per capire come lei possa essere in grado di…
Lo vede questo trofeo? L’ho vinto alla fiera del miglior raccolto dell’anno. I miei melograni hanno fatto impallidire quelli di mio cugino. Ci lavoro notte e giorno, sono le mie gioie.
Molto carino, davvero, ma il motivo per cui sono qui è…
Ha visto l’ulivo qui fuori? L’ho piantato con le mie mani. Mio fratello aveva comprato i semi durante la fiera dell’Expo a Milano. Ne sono molto orgoglioso e quando sarà abbastanza forte, potrò farci magari dell’olio. Non tantissimo, perché ho solo lui, ma sono sicuro che anche lui sarà la mia gioia.
Va-bene-mi-ascolti: sono qui per chiederle se lei può davvero dare consigli su come travestirsi da lupo mannaro.
Certo che posso. Non c’è nessuno che sia migliore di me per farlo.
Perfetto, finalmente ho la sua attenzione. Innanzitutto, mi può spiegare perché pensa di esserlo?
Lei è stato al castello di Lord Ruthven, il vampiro, vero?
Ehm… Sì, ma questo cosa centra?
L’ho capito subito. Ha ancora l’odore del castello addosso. Solo un pomposo nullafacente di un vampiro può abitare in un posto del genere. Quelli si danno titoli nobiliari, quando di nobile hanno solo il nome e nulla più. Noi siamo profondamente diversi. I vampiri si sono sempre dati delle arie. Noi licantropi, invece, siamo sempre stati dei fieri lavoratori.
Continuo a non seguirla, signor Thiess. Cosa sta cercando di dirmi?
Devi scusarmi, sono una persona di campagna. Il mio linguaggio, magari, è meno forbito rispetto a quello dei sedicenti aristocratici vampiri. Cercherò di essere più chiaro, ma stammi dietro.
Va bene.
Mi chiedi se è vero che posso dare consigli per essere un licantropo? Assolutamente sì. Come mai ne sono sicuro? Perché io sono un licantropo. E per essere un licantropo non c’è bisogno di utilizzare inganni, o sotterfugi. Noi siamo quello che siamo. La nostra storia è sempre stata legata a filo doppio con quella dell’uomo, ecco perché non abbiamo bisogno di chissà cosa per travestirci. L’uomo ci riconosce da lontano, gli basta poco per rendersi conto di trovarsi di fronte a gente come noi. Siamo figli della terra, della campagna e dei boschi. La luna è la nostra madre, che rivela la nostra natura ferale ai malcapitati che si trovano nel nostro territorio.
Mi sembra uno che va dritto al sodo. Ma, per essere più specifici, come ci si traveste da licantropi?
Per travestirsi da licantropo, come nelle trasformazioni, serve una “pelliccia”. Non parlo di quei giacconi pelosi da signore, parlo di travestimenti fatti con le proprie mani. Noi licantropi siamo dei lavoratori, non dei buoni a nulla come i vampiri, quindi così come fatichiamo per vivere, chi si traveste come noi deve farsi la sua pelliccia. È una questione di principio e di orgoglio personale: la pelliccia è lo specchio di quello che il licantropo vuole essere. Come ho detto, l’uomo ci riconosce da lontano, quindi basta avere una pelliccia evocativa: una maschera di lupo fai da te, una coda e dei guanti pelosi sono più che sufficienti. Basterà poco perché gli umani se la facciano sotto dalla paura, alla vostra vista.
Riassumendo: maschera fai-da-te, con guanti “pelosi”, immagino che si riferisca anche a dei semplici guanti di lana con artiglia di carta attaccati alle dita, coda, magari ricavata da una sciarpa. Dimentichiamo niente?
Oh sì. Certo che dimentichiamo qualcosa. La cosa più importante. Un vero licantropo deve essere capace di ululare. È un omaggio che rivolgiamo alla nostra signora luna, perché ci accompagni nella caccia. A volte, per terrorizzare la preda, basta il terribile suono dell’ululato.
Accidenti se siamo stati veloci, pensavo che l’intervista sarebbe durata di più e…
Il tè è pronto. Vieni che ti racconto il resto.
Il resto?
Certo. Vedi, io ho grattato solo la superficie. La “pelliccia” del licantropo è già un buon punto di partenza, ma non è sufficiente. A fare davvero la differenza è il branco.
Il branco?
Certo. I licantropi, come i loro fratelli lupi, devono lavorare in branco. Le fiabe e i racconti popolari hanno sempre storie di lupi solitari che fanno una brutta fine, pensa a Cappuccetto rosso, per esempio, o ai Tre porcellini. No, no. Questa idea romantica della solitudine non ha mai funzionato. La forza del licantropo è il branco e la forza del branco è il licantropo stesso. La notte di Halloween, quando i giovani licantropi andranno per le case a chiedere dolcetti, dovranno stare col branco e proteggerlo. Non è necessario stare per forza coi propri simili, anzi, il Consiglio dei Mannari ha sempre esortato i lupi a cercare un branco misto, con altri mostri. Il punto è che bisogna stare insieme, ma non passivamente: se il branco prende una direzione negativa o nella quale non si crede nel proprio cuore, il licantropo deve prendersi cura del branco e farlo ragionare, anche litigandoci, ma con l’obiettivo di agire secondo coscienza. Se non si vuole ascoltarlo, allora il licantropo è legittimato a cercare un altro branco.
Come mai questa scelta di stare in gruppo, un po’ come fanno gli uomini?
Ragazzo, noi siamo l’anello di congiunzione malefico e nefasto tra l’uomo e il lupo. Due animali che si sono sempre rincorsi, imitati, o contrastati. Te lo dimostro: gli uomini costituiscono gruppi di caccia? I lupi vivono in branco. Gli uomini vivono in gruppo, costruiscono città. I lupi hanno nel branco la loro città, ma si legano poco ai beni materiali, cambiando sempre posto dove abitare. Da sempre la nostra storia è stata legata alla loro. Il primo uomo lupo è stato l’eroe sumerico Gilgamesh, maledetto dalla dea Inanna-Ishtar, signora della Bellezza e della Fecondità. La divinità si era innamorata dell’eroe, che però la rifiutò, e lei per vendetta lo tramutò in un lupo. Questa storia la puoi trovare nell’Epopea di Gilgamesh, scritta dall’uomo tra il 2600 a.C e il 2500 a.C..
Caspita! Non ne sapevo nulla.
E c’è di più, ragazzo. Nelle leggende scandinave, si narra che nelle tribù esistevano due tipi di guerrieri: da una parte i berserker, conosciuti per la loro straordinaria capacità di lanciarsi in battaglia, senza sentire alcun tipo di ferite, combattendo in preda a una furia cieca. Dall’altra i úlfheðnar, guerrieri sciamani, che combattevano nel nome di Odino e del lupo. Le leggende raccontano che sia i berserker sia gli úlfheðnar avessero la capacita di trasformarsi, rispettivamente in orsi e in lupi. In particolare i berserker lottavano principalmente da soli, alla maniera dell’essere in cui si tramutavano, gli orsi, appunto, mentre gli úlfheðnar erano soliti combattere secondo la natura dei lupi: in branco.
Quindi, mi sta cercando di dire che uomini e lupi mannari hanno spesso collaborato insieme?
In passato sì. Poi, nel Medioevo, cambiò tutto. I guerrieri deposero le armi e divennero contadini. Qualcuno disse che l’uomo era andato avanti, lasciandosi alle spalle la vita nomade e gli orrori delle battaglie, cercando la pace. Il licantropo, invece, no. Egli resterà sempre un cacciatore. In mancanza di battaglie, i licantropi hanno riversato la loro furia naturale sulle greggi e sugli individui più deboli e questo ha fatto sì che l’antica collaborazione fosse spazzata via. La sete di sangue e carne ha sempre richiamato il nostro istinto di predatori. Con l’intervento della Chiesa, poi, le carte in tavola furono rimescolate ancora una volta.
In che senso, scusi?
Abbiamo vissuto un periodo di profonda confusione: la Chiesa svelò la vera origine dei licantropi. È vero, è difficile da credere, ma non si diventa lupi mannari attraverso il morso. Quella è una trovata dei registi al cinema, presa a piene mani dai vampiri. Nulla di più falso. Perché un licantropo diventi tale, deve essere colpito da una maledizione. A prescindere dalla volontà del soggetto, la maledizione lo condannerà a trasformarsi in lupo ogni notte di luna piena. Origine e volontà sono 2 cose distinte, quindi, e il licantropo può scegliere di servire colui che ha scaturito la maledizione, come potrebbe averlo fatto una strega o uno stregone, diventando così un demone. Altrimenti, il licantropo può decidere di ritrovarsi con il resto del branco alla fine del mare a combattere il diavolo e le streghe, di cui non sopportano la presenza.
Ma la furia omicida del predatore rimane?
Per quella, purtroppo, non ci si può far niente. È puro istinto. E noi mannari non possiamo ribellarci ad esso, sia che abbiamo abbracciato la via del demone, sia che abbiamo abbracciato la via della grande battaglia contro le streghe. Come ho detto, siamo predatori assetati di sangue e affamati di carne.
Ma esiste un modo per neutralizzare i licantropi?
Sì, certo che c’è. Per un licantropo sono fatali le pallottole d’argento, se l’intenzione è quella di ucciderlo. Se si vuole liberarlo dalla maledizione, la procedura è leggermente più complicata, ma fattibile.
Quale sarebbe, allora, questa cura per la licantropia?
Non c’è una cura comune per tutti i licantropi. L’obiettivo è uno solo: far uscire il male dallo spirito dell’uomo che è stato maledetto. Perché questo sia possibile, bisogna tener conto delle caratteristiche specifiche dei lupi mannari. Queste, cambiano di zona in zona, di territorio in territorio e per conoscerle, bisogna studiare. Per esempio, il lupo mannaro siciliano non è capace di salire le scale. Quindi, il malcapitato, per sfuggirgli deve solo mettersi in cima a una scala e una volta su, ferire la testa del licantropo con un bastone. A quel punto, il sangue che sgorgherà dal capo sarà quello infetto, che una volta fuoriuscito in abbondanza, libererà l’uomo dalla maledizione. È necessario un rimedio diverso, invece, per il licantropo abruzzese: appena prima che avvenga la trasformazione in lupo, il licantropo deve bagnarsi con dell’acqua pura, che – in quella specifica circostanza – annulla la maledizione. In alternativa, si attende che il licantropo riassuma la forma umana e a quel punto, lo si fa ferire da un suo familiare con un forcone o con una chiave priva di buchi.
La notte ormai è alle porte e il vento tamburella contro le finestre. Saluto il mio ospite con garbo, ma lui insiste per riempirmi l’auto di formaggio, olive, ricotta, verdure del suo orto. Non contento, mi regala anche un piccolo crocifisso d’argento. “Consideralo un passepartout”, mi dice, aggiungendo che “con questo in macchina, avrai un viaggio di ritorno piacevole”.
Metto in moto e vado via. Mentre percorro le strade di campagna sento gli ululati del vento farsi sempre più lugubri. Ammetto che le storie del vecchio Thiess mi hanno un tantino suggestionato: guardo il cielo, attraverso il riflesso dallo specchietto retrovisore. Non ho motivo di preoccuparmi: per stanotte non dovrebbe essere prevista la luna pien… Fermo la macchina. Lo sguardo fisso, con gli occhi puntati sullo specchietto retrovisore. La luna è piena.
Comincio a sudare freddo, mi tremano le gambe e il vento ancora rompe il silenzio con i suoi ululati. Sono solo, in mezzo ai campi in una strada deserta e al buio, l’unica fonte di luce sono i miei fari. Faccio ampi respiri. Non può essere vero, andiamo! Ho appena intervistato il signor Thiess, non può essersi già trasformato. Forse non è solo. Cosa mi ha detto prima? La forza del licantropo è il branco e la forza del branco è il licantropo stesso. In quel preciso momento mi accorgo che le foglie sulla strada, illuminate dai fari dell’auto, non si muovono. Eppure il vento continua a ululare. La forza del branco, la forza del licantropo, ha detto Thiess. Le sue parole mi rimbombano nella testa. A volte basta solo un ululato per spaventare gli umani, ha detto il contadino. Istintivamente apro dal cassetto dell’auto il crocifisso d’argento: il “passepartout” di Thiess. Ecco cosa intendeva dirmi. Nella notte di luna piena il licantropo ritorna a cacciare, ma non è da solo, egli insegue la preda insieme al suo branco. Appendo il crocifisso sullo specchietto retrovisore e riaccendo l’auto, è meglio che mi muova.
Non è mai stato il vento a ululare, ma le gole ferine di mannari del branco di Thiess. Da quando sono entrato nella casa del contadino, il branco non ha mai smesso di tenermi d’occhio. Questo è il loro territorio, dopotutto. Gli ululati si fanno sempre più insistenti. Devo muovermi. Il branco è sceso in caccia con la benedizione della luna e io sono la sua preda.